Detenuti curdi ancora in sciopero della fame

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snaplinx
00giovedì 8 novembre 2012 18:06

Detenuti curdi ancora in sciopero della fame


Da settembre 682 prigioneri nelle carceri della Turchia protestano per chiedere più tutele e migliori condizioni, anche per Ocalan

Sono 56 giorni che 682 detenuti curdi nelle carceri della Turchia portano avanti uno sciopero della fame.
Nel decennale della vittoria dell’Akp del premier islamista Recep Tayyip Erdoğan, la situazione dei curdi, di pari passo con quella dei diritti umani, torna ad essere un’emergenza ad Ankara. Chiaramente nel silenzio dei media mainstream e dei governi alleati di questa Turchia ferocemente schierata contro l’ex alleato Bashar al Assad, accusato di reprimere il suo popolo mentre la polizia turca bastona e gasa chiunque osi mettere in discussione le decisioni del governo islamista di Erdoğan. Sono centinaia i giornalisti, sindacalisti, studenti e politici in carcere, molti di questi sono curdi accusati di “terrorismo” o comunque di affiliazione al Pkk. La scorsa settimana migliaia di persone che avevano inteso celebrare la festa della Repubblica ricordandone le radici laiche volute da Ataturk sono state duramente attaccate dalle forze dell’ordine mentre per la prima volta le mogli dei politici islamici hanno partecipato velate ad un evento pubblico. Ma anche di questo si è saputo poco e niente. I
detenuti in sciopero della fame chiedono la fine dell’isolamento del fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), Abdullah Ocalan, che sta scontando un ergastolo dal 1999 e il diritto di potersi difendere in curdo nel tribunali turchi. Ma Recep Tayyip Erdoğan non fa una piega. Sabato ha celebrato trionfalmente ad Ankara i primi dieci anni di governo del suo partito, l’Akp, con la ferma intenzione di restare alla guida della Turchia fino al 2023 e dal 2014 come capo dello Stato grazie una riforma presidenziale della Costituzione presentata proprio ieri al Parlamento dal suo partito. In dieci anni in effetti la Turchia è cambiata: i militari sono stati privati del loro potere storico, centinaia di generali e alti ufficiali sono in carcere, accusati di presunti tentativi di golpe.
Pur con 3 colpi di Stato all’attivo, gli uomini con le stellette erano l’argine all’islamizzazione della società turca, il baluardo del laicismo voluto da Ataturk. Oggi invece nel Paese ci sono più “veli”, più scuole coraniche, più moschee. E un premier autoritario forte di una solida maggioranza parlamentare. Nel giorno delle celebrazioni del decennale al potere, Erdoğan ha avvertito i prigionieri curdi di non trasformare la loro protesta in una “estorsione”, affermando poi, giusto per far capire chi comanda, che popolazione turca sarebbe favorevole all’ applicazione della pena di morte a Ocalan. Nello stesso giorno la polizia ha utilizzato i gas lacrimogeni e gli idranti per disperdere una manifestazione in favore dello sciopero dei detenuti nella città di Diyarbakir. Almeno in 20 sono stati arrestati. Il giorno dopo gli scontri si sono spostati a Istanbul, e la polizia ha usato lacrimogeni e cannoni ad acqua contro una folla di circa 400 manifestanti. Ma resta il silenzio sul vero volto di questa “nuova Turchia” che rischia di condannare centinaia di hungerstrickers curdi a morte, alla stessa fine che fu riservata al repubblicano irlandese Bobby Sands e ai suoi nove compagni di lotta, nel 1982. 144 di questi detenuti sono infatti già in “condizioni critiche” ha scritto lunedì quotidiano turco Milliyet citando l’Associazione delle famiglie dei prigionieri (Tuhadfed). Uno spiraglio si è aperto nella serata di lunedì: di fronte al rischio di infuocare gli animi della comunità curda e dell’opposizione politica turca il governo ha aperto alla possibilità di usare la lingua curda nelle aule dei processi. Al termine del consiglio dei ministri il vicepremier e portavoce del governo, Bulent Arinc, ha spiegato che Erdoğan ha dato mandato al ministro della Giustizia Sadullah Ergin di studiare l’abolizione della normativa che non permette agli imputati di difendersi nella propria lingua madre. “Un individuo potrà difendersi in ogni lingua reputi migliore per descrivere se stesso” ha detto Arinc, che ha poi sottolineato che il governo dell’Akp cambierà la normativa per una questione umanitaria e non in risposta alle richieste del Pkk.
Tuttavia il premier islamista non ha rinunciato al suo fare aggressivo e provocatorio e ieri, durante il suo tradizionale discorso del martedì al gruppo parlamentare dell’Akp, ha attaccato duramente l’opposizione filo-curda, accusando il Bdp, il Partito curdo per la democrazia e la pace, che siede in Parlamento, di aver spinto i detenuti allo sciopero della fame insieme al Pkk.

Fonte: Rinascita 

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