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Repubblica Sociale Italiana

Ultimo Aggiornamento: 24/04/2009 07:33
24/04/2009 07:26
 
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Repubblica Sociale Italiana

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


La Repubblica Sociale Italiana (nata il 23 settembre 1943 col nome di Stato Nazionale Repubblicano[2], detta impropriamente anche Repubblica di Salò[3]) fu uno Stato fantoccio dell'Europa centro-meridionale fondato da Benito Mussolini[4] nel 1943 dopo che il Regno d'Italia aveva, l'8 settembre di quell'anno, concluso un armistizio con le forze anglo-americane.

Venne riconosciuta soltanto dal Terzo Reich - che eserciterà, su di essa, una sorta di invadente protettorato de facto -, dall'Impero Giapponese, e dalla maggioranza degli altri Stati componenti l'Asse Roma-Berlino-Tokyo[5]: la Slovacchia, l'Ungheria, la Croazia, la Bulgaria e il Manciukuò[6] . Fondamenti ideologico-giuridico-economici della Repubblica Sociale Italiana saranno il fascismo, il socialismo nazionale, il repubblicanesimo, la socializzazione, la cogestione, il corporativismo e l'antisemitismo.

La Repubblica Sociale Italiana non sopravviverà alla seconda guerra mondiale e finirà, simbolicamente, con l'esposizione del cadavere del suo capo e di altri dirigenti del Partito Fascista Repubblicano nel piazzale Loreto di Milano, alla fine di aprile del 1945.

La Repubblica Sociale Italiana, proclamata il 23 settembre 1943, inizialmente estesa fino ai confini settentrionali della Campania, si ritirò sempre più a nord, in concomitanza con l'avanzata degli eserciti angloamericani, ma non comprese mai le province di Trento, Bolzano, Belluno, Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, che furono amministrate direttamente dai tedeschi, anche se non annesse formalmente al Terzo Reich.



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Repubblica Sociale Italiana
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Repubblica%20Sociale%20Italiana%20-%20Bandiera
   
Repubblica%20Sociale%20Italiana%20-%20Stemma
(dettagli)     (dettagli)
Motto: 

Descrizione generale
Nome completo:  
Nome ufficiale: Repubblica Sociale Italiana
Lingue: Italiano
Inno: nessun inno ufficiale
Capitale: non applicabile
Altre capitali: Salò, Gargnano, Verona (protettorati de facto del Terzo Reich)
Dipendente da: Terzo Reich
Forma politica
Forma di governo: Dittatura fascista
Duce e Capo del Governo: Benito Mussolini
Nascita: 18 settembre 1943
Causa: Armistizio e fuga del re
Proclama di Radio Monaco
Fine: 25 aprile 1945
Causa: Insurrezione partigiana
Resa di Caserta
Territorio e popolazione
Bacino geografico: Alta Italia
Territorio originale:  
Province:  
Economia
Moneta: Lira italiana
Commerci con: Terzo Reich[1]
Religione e Società
Religioni preminenti: Cattolicesimo

[[Image:|295px|]]

Evoluzione storica
Preceduto da:
    Succeduto da:
Regno d'Italia     Regno d'Italia


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Gli antefatti [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Fascismo. Storia e interpretazione.

Durante la seconda guerra mondiale l'Italia andava inesorabilmente incontro ad una schiacciante sconfitta militare, mentre per sostenere lo sforzo bellico il Paese andava sempre più impoverendosi. In calo di consenso ed in pieno dramma, furono a molti livelli cercate soluzioni per uscire dalla crisi.

Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo, organismo costituzionale e direttorio politico del PNF, con l'Ordine del giorno Grandi[7] aveva invitato Mussolini

  « a pregare la Maestà del Re [...] affinché Egli voglia, per l'onore e la salvezza della Patria, assumere - con l'effettivo comando delle Forze Armate [...] - quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state [...] il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia. »
   

Nell'approvazione dell'ordine del giorno c'era stato il voto, se non decisivo almeno assai significativo, di Galeazzo Ciano, ex-Ministro degli Esteri e genero del Duce, e di Dino Grandi, il raffinato intellettuale e diplomatico che aveva rappresentato nel mondo il prestigio dell'Italia fascista.

Nel pomeriggio dello stesso 25 luglio Mussolini era stato ricevuto dal Re nella sua residenza di Villa Ada. Dopo un breve colloquio (il cui contenuto è sempre rimasto misterioso), che si era concluso con la richiesta delle dimissioni da Capo del Governo, Mussolini fu arrestato e condotto, con una ambulanza della Croce Rossa, alla caserma della Legione Allievi Carabinieri di via Legnano, a Roma-Prati, dove dormì tre notti.

Non fu condotto nella sua residenza di Rocca delle Caminate, come egli stesso sperava, ma dal 28 luglio fu imbarcato a Gaeta sulla corvetta Persefone e trasferito prima a Ventotene e poi sull'isola di Ponza, e dal 7 agosto, con la corvetta Pantera, sull'isola della Maddalena e infine dal 28 agosto ai piedi del Gran Sasso per poi salire il 3 settembre a Campo Imperatore dove restò, controllato da 250 carabinieri e guardie di Pubblica Sicurezza, sino alla liberazione da parte di un reparto di paracadutisti tedeschi.

Al posto di Mussolini il Re aveva nominato Pietro Badoglio il quale subito aveva sedato l'euforia popolare e spente le speranze di pace, eventualmente connesse alla caduta del capo del fascismo, con il famoso proclama radiofonico caratterizzato dall'impegno: "La guerra continua".

Dopo lunghe trattative, l'8 settembre si giunse alla proclamazione dell'armistizio di Cassibile con gli Alleati (già firmato il 3 settembre). Ne seguì un generale sbandamento, durante il quale la famiglia reale fuggì da Roma insieme a Badoglio, rifugiandosi a Brindisi. Le autorità e i dirigenti dello stato, compresi (e forse soprattutto) gli stati maggiori delle forze armate, si smembrarono, scomparvero, si resero irreperibili, mentre le truppe tedesche prendevano il controllo del paese (operazione Achse)

La penisola restava divisa in due, occupata dalle forze alleate al sud e dalle forze tedesche al centro nord, con Roma, che nel 1944 sarà dichiarata «città aperta», quando repubblichini e tedeschi fuggiranno pressati dagli alleati e il solo Pontefice rimarrà a rappresentarvi una qualche autorità.

Dal Gran Sasso al lago di Garda, passando per la Germania [modifica]

La liberazione del duce era stata minuziosamente organizzata dai tedeschi, fortemente voluta da Hitler (anche per motivi di personale affezione), e venne realizzata il 12 settembre da un plotone di truppe scelte guidate da Kurt Student, Harald Otto Mors e dal maggiore Otto Skorzeny, che dopo aver preso possesso dei luoghi e scarcerato il prigioniero, lo condusse a Monaco di Baviera; qui il deposto dittatore discusse della situazione del nord Italia diverse volte con Hitler, accettando le imposizioni di quest'ultimo riguardo alla creazione di un governo fascista al nord. Mussolini in seguito si mise subito al lavoro per riorganizzare il partito fascista, che nel frattempo s'era dissolto sotto il peso degli avvenimenti, e la MVSN.

Rimessa mano al programma dei Fasci italiani di combattimento del 1919, enfatizzandone alcuni contenuti affini a quelli dei movimenti repubblicano e socialista, il 17 settembre Mussolini proclamò attraverso Radio Monaco (un'emittente captata in buona parte dell'Italia settentrionale) la prossima costituzione del nuovo stato fascista. Questa sarebbe stata formalizzata il giorno 23 ed il 27 il neonato governo si insediò a Salò, sul Lago di Garda. Ecco alcune citazioni da suoi discorsi in merito:

  « Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso più lato della parola: sarà cioè fascista nel senso delle nostre origini»
 
(Benito Mussolini, dal discorso di Radio Monaco del 18 settembre 1943.)

Qui ebbero sede il ministero degli esteri, il ministero della cultura popolare, la direzione generale della Pubblica Sicurezza e l'Agenzia di stampa Stefani. Gli altri uffici governativi, con un necessario decentramento amministrativo furono distribuiti fra le località delle vicinanze.

Il circondario non era solo di grande bellezza paesaggistica, ma era anche strategicamente assai importante: oltre alla vicinanza con le fabbriche d'armi (ad esempio a Gardone Val Trompia, ove avevano sede la Beretta e altre fabbriche minori) e con le industrie siderurgiche (che continuarono a produrre per i nazi-fascisti), vantava prossimità a Milano tanto quanta ne aveva per la frontiera tedesca ed oltre ad essere riparato dall'arco alpino risultava equidistante dalla Francia e dall'Adriatico. Era nel cuore dell'ultima parte dell'Italia ancora in grado di svolgere la produzione e dunque capace di creare merci da poter vendere, ancorché sottoprezzo e soltanto alla Germania.

Il governo della RSI [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Governo della Repubblica Sociale Italiana.

La Repubblica Sociale Italiana ebbe un governo de facto, ovvero un esecutivo che operava in mancanza di una Costituzione (che pur essendo stata redatta non venne mai discussa e approvata): tale organo, pur sembrando possedere tutte le prerogative essenziali per essere considerato sovrano dalla popolazione: potere legislativo, autorità sul territorio, esclusività della moneta e disponibilità di forze armate, furono esercitate - appunto - de facto ma non de jure.

Benito Mussolini fu - sia pure mai proclamato - capo della Repubblica (così il Manifesto di Verona definiva la figura del capo dello Stato), capo del Governo e ministro degli Esteri. Il Partito Fascista Repubblicano (PFR) fu retto da Alessandro Pavolini.

Erede di ciò che rimaneva al nord della MVSN, dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia dell'Africa Italiana, fu creata la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) con compiti di polizia giudiziaria e di polizia militare e posta sotto il comando di Renato Ricci.

Il 13 ottobre 1943 fu annunciata l'imminente convocazione di un'Assemblea Costituente che avrebbe dovuto redigere una Carta costituzionale nella quale la sovranità sarebbe stata attribuita al popolo. Dopo la prima assemblea nazionale del PFR, svoltasi a Verona il 14 novembre 1943, questo annuncio fu annullato da Mussolini avendo deciso di convocare detta Assemblea Costituente a guerra conclusa.

Le sedi delle istituzioni della RSI [modifica]

Villa Simonini, sede del Ministero degli Esteri della RSI.

Lo stato occulto [modifica]

1944, vicino a Milano un soldato tedesco controlla i documenti di un civile italiano
Roma (1943), di fronte a Palazzo Venezia soldati tedeschi mostrano un dipinto in corso di trafugamento in Germania

La RSI fu in realtà un ente del tutto dipendente dal Terzo Reich nella sua costituzione e durante la sua sopravvivenza, e lo sarebbe stato anche nei suoi destini.

Voluto dal Terzo Reich come apparato per amministrare i territori occupati del Nord e Centro Italia, lo stato della RSI era in realtà una struttura burocratica dotata di scarso potere autonomo effettivo. Il vero governo si nascondeva fra le sue pieghe, nella forma di quei meccanismi di cui la Germania lo aveva sin dall'origine dotato per non rischiare di perderne il controllo a somiglianza di quanto aveva già fatto negli altri stati europei occupati dalla truppe tedesche nei primi anni di guerra.

L'intero apparato della Repubblica di Salò era infatti pesantemente controllato dai militari tedeschi, nel timore di un "tradimento" da parte degli italiani, dopo quello che secondo loro era stato consumato con l'armistizio dell'8 settembre; alla Repubblica Sociale fu permesso di avere un esercito composto esclusivamente da reclute addestrate in Germania. Il volontariato fascista e la militarizzazione di organizzazioni esistenti dotarono la RSI di forze armate non numericamente insignificanti (circa 600 000 persone sotto le armi), ma queste furono impiegate, a volte anche contro il loro desiderio, soprattutto in operazioni di repressione, sterminio e rappresaglia contro i partigiani e le popolazioni accusate di offrire loro supporto.

Unità della X Mas parteciparono comunque ai combattimenti contro gli Alleati ad Anzio, in Toscana e più tardi sul Senio, e le divisioni alpine addestrate in Germania si batterono sul fronte toscano, mentre qualche minimo contributo alle operazioni militari contro gli Alleati si registrò anche da parte della Marina Nazionale Repubblicana e dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana. L'apporto della RSI alle operazioni rivolte direttamente contro le forze degli Alleati rimase comunque marginale se non puramente simbolico.

L'integrità territoriale della Rsi non fu rispettata dai tedeschi. Il 10 settembre del 1943, Hitler concesse ai Gauleiter del Tirolo e della Carinzia di annettersi molte zone del Triveneto mascherando il tutto dietro la "facciata" di due zone di Operazioni delle Prealpi (province di Trento, Bolzano e Belluno) e del Litorale Adriatico. (province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, Lubiana). Questo era dettato dal desiderio di riappropriarsi dei territori storicamente legati all'impero Asburgico, e Hitler decise che i commissari civili in queste zone avrebbero risposto direttamente a lui. Vennero allo scopo nominati dei commissari che secondo Hitler "riceveranno da me le indicazioni fondamentali per la loro attività" [10]

L'1 ottobre il Gauleiter della Carinzia prendeva per decreto con valore retroattivo al 29 settembre il controllo militare e civile [11] [12].

Durante l'occupazione nazista numerose opere d'arte, quali dipinti e sculture, vennero trafugate dalle loro sedi italiane e trasferite in Germania: a tale scopo Hermann Goering istituì un apposito corpo militare nazista chiamato Kunstschutz (protezione artistica) [13]

La persecuzione degli ebrei [modifica]

La situazione degli ebrei italiani, già resa difficile e precaria dalle leggi razziali fasciste, subì un ulteriore peggioramento con la Repubblica Sociale. Il Manifesto di Verona stabilì all'articolo 7: «Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica».

Eccone un commento:

  « Affermazione gravissima ed aberrante moralmente e storicamente, ma che - a ben vedere - non aggiungeva nulla di nuovo alla posizione che, come abbiamo dimostrato, Mussolini e Buffarini-Guidi erano andati prendendo negli anni precedenti (...). L'intenzione di Mussolini e dei "moderati" era senza dubbio di concentrare sino alla fine della guerra tutti gli ebrei (...) e di rinviare la soluzione a guerra finita (...). L'assurdità della soluzione adottata è evidente: per qualsiasi persona di buon senso non poteva infatti esservi dubbio che (...) concentrare gli ebrei volesse in pratica dire permettere ai nazisti di impadronirsene quando volevano e, quindi, di sterminarli. (...) Anche in questo aspetto particolare si rileva dunque la insostenibilità della RSI o meglio di coloro che dandole vita e aderendovi ritennero non solo di salvare l' "onore" italiano, ma di poter così operare per la tutela di alcuni interessi italiani (...). Ciò che in questo senso essi poterono ottenere non giustifica certo, anche nei più onesti, l'essersi messi in pratica al servizio dei nazisti e l'aver in tal modo avallato il loro regime di terrore »
 
(Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, pp.446-447)

L'instaurazione della Repubblica Sociale Italiana sotto diretta tutela della Germania fu l'inizio della caccia all'ebreo anche in territorio italiano, cui contribuirono attivamente gli apparati della Repubblica Sociale. Secondo Liliana Picciotto Fargion, risulta che del totale degli ebrei italiani deportati, il 35,49% venne catturato da funzionari o militari italiani della Repubblica Sociale Italiana, il 4,44% da tedeschi ed italiani insieme e il 35,49% solo da tedeschi (il dato è ignoto per il 32,99% degli arrestati)[14].

Fra le retate completamente organizzate ed eseguite da italiani della RSI assume particolare rilievo il rastrellamento di Venezia del 5-6 dicembre 1943: 150 ebrei furono arrestati in una sola notte. La stessa triste vicenda del rastrellamento e della deportazione degli ebrei romani (effettuata dai tedeschi sotto il comando di Herbert Kappler) vide l'attiva collaborazione delle autorità della Repubblica Sociale Italiana, in primis nella persona del capo dell'Ufficio Razza presso la Questura di Roma, Gennaro Cappa.

Fu il il segretario di stato Giovanni Preziosi ad insistere perché venisse approvata una legge della R.S.I. contro gli ebrei. Preziosi era convinto che ovunque massoni e antifascisti complottassero contro il regime; nei primi anni del fascismo viene fatto allontanare per le sue tendenze "deliranti", ma piace molto ad Alfred Rosenberg, teorico del nazismo. Così Mussolini, per volontà dei tedeschi, gli conferisce una carica all'interno della Repubblica (aprile 1944)): l'Ispettorato della Razza. Ma Alessandro Pavolini propone una legge di assai difficile applicazione: "sono da considerarsi perseguibili tutti coloro che non riescano a dimostrare, mediante specifici documenti, di avere una discendenza ariana pura a partire dal 1800". L'evidente difficoltà di documentare in questo modo la propria discendenza avrebbe creato seri problemi agli stessi membri del governo, oltre che a tutte quelle persone che non possedevano documenti sufficienti; tuttavia Mussolini la approva, seppur modificandola in qualche suo punto. Il ministro dell'Interno Guido Buffarini-Guidi decide allora di avvisare preventivamente gli ebrei italiani pubblicando la legge su un giornale due giorni prima della sua approvazione e messa in pratica. Decide, poi, di far costruire campi di concentramento in Italia, tra i quali quelli presso la Risiera di San Sabba (Trieste), Fossoli e Novara.

Non di meno, il sistema concentrazionario italiano si dimostrò tragicamente efficiente. Quasi trecento ebrei trovano la morte tra le mura dei Lager costruiti sulla penisola, e a quasi tutte le famiglie dei deportati furono confiscati i beni.

Finanze e moneta [modifica]

Il Palazzo della Banca d'Italia a Milano.
Francobollo da 25 centesimi di lira della Repubblica Sociale Italiana, raffigurante i Fratelli Bandiera.

Ministro delle finanze del nuovo governo fascista fu nominato il professor Domenico Pellegrini Giampietro, insegnante di diritto costituzionale presso l'Ateneo di Napoli. Suo compito principale, per l'intera durata del suo incarico, sarebbe stato quello di difendere le casse del nuovo stato dalle pretese tedesche e trovare una soluzione per la situazione che il comportamento delle truppe naziste d'occupazione aveva creato.

Armi alla mano, le SS di Herbert Kappler avevano rapinato a Roma le riserve della Banca d'Italia il 16 ottobre 1943, facendo un bottino di circa tre miliardi di lire (due miliardi in oro e un miliardo in valuta pregiata). Il tutto era stato trasferito a Milano. A questa somma si dovevano sommare molti altri milioni, prelevati dalle altre banche pubbliche e private. L'economia rischiava un disastro per motivi legati all'inflazione, a causa della moneta d'occupazione, una sorta di carta straccia denominata Reichskredit Kassenscheine, controparte delle Am-Lire. A queste manovre si aggiunsero le pretese tedesche di ottenere che la nuova repubblica "pagasse" la guerra che la Germania conduceva in sua vece da quando era stato firmato l'Armistizio. Fin dai primi giorni dopo la sua costituzione, il governo della RSI si preoccupò di riprendere saldamente il controllo dell'economia, per salvaguardare il potere d'acquisto della moneta ed evitare fenomeni inflazionistici.

Il ministro delle Finanze Domenico Pellegrini Giampietro appena insediato dovette occuparsi di un serio problema. I tedeschi, nei giorni immediatamente successivi all'8 settembre, avevano messo in circolazione dei marchi di occupazione. Ciò avrebbe potuto innescare dei processi inflattivi, per cui il problema andava rapidamente risolto: il 25 ottobre 1943 viene stipulato l'accordo monetario tra Germania e RSI, in forza del quale i marchi di occupazione non avevano più valore e pertanto vennero ritirati.

I provvedimenti a sostegno dell'attività agricola furono numerosi ed efficaci: il raccolto del grano dell'anno 1945 fu uno dei maggiori d'Italia.[senza fonte]

Il 2 aprile 1944 il Comune di Milano, guidato dal podestà Piero Parini, per risanare le esauste casse comunali, lanciò una sottoscrizione per un prestito pubblico denominata “Città di Milano” ma, ancora oggi, ricordato in Milano come “prestito Parini”. La somma stabilita di 1 miliardo di lire fu rapidamente coperta con il concorso popolare e il Comune di Milano incassò 1 056 000 000[15].

Le spese complessive della Repubblica Sociale, come dichiarato dallo stesso Pellegrini nell'articolo L'Oro di Salò[16] si possono suddividere come segue:

Voce Miliardi di lire
Spese ordinarie e straordinarie della Repubblica 170,6
Spese di guerra (contributi pagati al Terzo reich) 189,0
Totale spese 359,6
Entrate ordinarie 50,4
Risultato economico netto − 309,2
Operazioni straordinarie  
depositi e conti correnti presso enti e istituzioni pubbliche 47,0
Buoni del tesoro 74,3
Anticipazioni della Banca d'Italia 183,0
Anticipazioni da altri istituti di credito 25,2
Totale entrate 380,5
Risultato finanziario netto 20,9

Come si può vedere, a causa delle ingentissime spese di guerra (contributi pagati all'esercito germanico e spese per le riparazioni dei danni causati dai bombardamenti indiscriminati sulle città) il bilancio (il conto economico) si chiuse con un passivo di circa 300 miliardi di lire compensato da operazioni finanziarie straordinarie che portarono a chiudere il risultato del 1944 con un leggero avanzo di 20,9 miliardi di lire. Nella Repubblica Sociale la direzione delle cose militari era di competenza dell'alto comando tedesco, meno vincolata era l'amministrazione civile essendo formalmente sotto il controllo di Mussolini. Invece, nel regno del sud, tutti i provvedimenti dovevano essere approvato dal governatore militare alleato. Ad esempio la legge sulla socializzazione delle imprese non fu gradita all'alto comando tedesco.[senza fonte] D'altra parte anche in campo militare si sono dati casi in cui i militari della RSI non erano poi così totalmente sottomessi ai comandi germanici. [senza fonte]

L'armata "Liguria", ad esempio, che comprendeva, oltre alle quattro divisioni della RSI ("Monterosa, Littorio, San Marco, Italia) anche divisioni tedesche, era sotto il comando del generale Rodolfo Graziani. E un settore della linea Gotica occidentale (fronte della Garfagnana) era retto esclusivamente da truppe italiane comandate dal generale Mario Carloni.

La socializzazione dell'economia [modifica]

Per approfondire, vedi la voce socializzazione dell'economia (fascismo).
  « I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero "di sinistra"; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un'alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio »
 
(Benito Mussolini, Milano, 22 aprile 1945[17])

Già nel Manifesto di Verona (il cui testo fu elaborato da Angelo Tarchi, Alessandro Pavolini, Nicola Bombacci, l'avv. Manlio Sargenti, sotto la supervisione di Benito Mussolini) erano presenti riferimenti d'ispirazione socialista alla gestione statale delle aziende di rilevanza bellica ed alla ripartizione degli utili fra gli azionisti e i lavoratori. Questi accenni alla socializzazione avevano scatenato le proteste di qualcuno, preoccupato che vi si nascondessero tendenze di tipo collettivistico.

Mussolini, che al congresso era tra quelli che avevano espresso la loro perplessità, era consapevole della portata che poteva avere la socializzazione delle attività economiche, con l'introduzione del lavoro nella gestione dell'impresa, limitando così il potere del capitale, e sperava di riportare il proletariato industriale fra i sostenitori attivi del fascismo.

Inoltre, da una parte sarebbe stata una sapida vendetta nei confronti della borghesia, alla quale aveva lasciato una cospicua libertà di manovra durante il Ventennio trascorso dalla sua ascesa al potere, e dalla quale si sentiva tradito e vilipeso; dall'altra poteva essere anche una rivalsa nei confronti dei tedeschi e della loro economia di rapina, basata sulla requisizione delle materie prime quanto dei prodotti finiti. Non mancava, in questo programma, una componente nostalgica, un desiderio di ritorno al fascismo "delle origini", antiborghese ed antimoderno, ed alle sue teorie sulle società organiche e sulla collaborazione fra capitale e lavoro - teorie, queste, presenti anche in molti movimenti stranieri affini al fascismo.

La manovra per applicare la socializzazione ebbe il suo punto di partenza nel decreto di nomina dell'ingegner Angelo Tarchi a ministro dell' economia corporativa. Tarchi avrebbe voluto i suoi uffici a Milano, come li aveva il generale Leyers (sovrintendente della produzione industriale italiana per conto del ministero degli armamenti del Reich), avrebbe ambito a che il suo ministero si trovasse nel cuore di quel sistema industriale che era il principale bersaglio della socializzazione. Fu invece mandato a Bergamo.

Per l'11 gennaio 1944 il programma sintetico della socializzazione era pronto. Seguirono altri documenti, il più importante dei quali fu un decreto (Decreto Legge sulla Socializzazione) approvato il 12 febbraio 1944, in quarantacinque articoli, che definì con maggiore precisione la desiderata nuova forma dell'economia di Salò, nella quale sarebbero stati fondamentali i seguenti istituti:

  • possibilità, per le aziende che estraevano materie prime, producevano energia o che erano impegnate in altri settori importanti per l'indipendenza dello stato, di essere acquisite alla proprietà di quest'ultimo;
  • consigli di gestione che deliberassero sull'organizzazione della produzione e la ripartizione degli utili;
  • consigli di amministrazione formati da rappresentanti degli azionisti e dei lavoratori;
  • responsabilità personale dei dirigenti d'impresa di fronte allo stato;
  • nuove regole sulle nomine dei sindacalisti, dei commissari governativi e sui compiti di un nuovo ente pubblico, l'Istituto di gestione finanziamento.

Le reazioni al decreto furono quelle che chiunque avrebbe potuto prevedere: gli industriali italiani erano naturalmente, fisiologicamente ostili a una riforma così vasta e così drastica che avrebbe sensibilmente ridotto il loro enorme potere - ma non lo diedero a vedere ed a parole sostennero invece l'utilità del programma. Le autorità tedesche, civili e militari, videro nella riforma un possibile intralcio alle loro requisizioni (il mutamento di assetto poteva provocare riduzioni nelle quantità prodotte) e protestarono ufficialmente, riservandosi la facoltà di impedire l'applicazione del decreto.

La risposta più sincera, ed anche più forte, provenne dal mondo del lavoro: dal 1º marzo gli operai (compresi, al gran completo, quelli della Fiat) entrarono in sciopero. Le ragioni della protesta erano molte - gli scarsi salari, le pessime condizioni di vita, l'umiliazione di dover lavorare sotto la minaccia delle armi tedesche - ma lo sciopero fu anche una reazione a quel programma di socializzazione che gli operai, tra i quali vi erano molti agenti di indottrinamento del PCI che tentavano di preparare il campo per quello che sarebbe stato il dopoguerra. Lo sciopero si esaurì da sé nel giro di una settimana, senza ritorsioni da parte dei tedeschi, anche se Hitler, per rappresaglia, avrebbe voluto far deportare in Germania il 20% degli operai.

Una settimana di produzione industriale ridotta agli sgoccioli rese gli occupanti ancora più ostili al progetto di Mussolini e la socializzazione, rifiutata dai lavoratori quanto dai capitalisti, finì per essere applicata solo da poche aziende di nessuna importanza per la produzione bellica.

Per ironia della sorte la realizzazione integrale della socializzazione era prevista per il 25 aprile 1945: il primo atto politico del CLNAI dopo la liberazione fu l' abrogazione del decreto legge sulla socializzazione.




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Le forze armate [modifica]

Milite della RSI.

L'Esercito Nazionale Repubblicano [modifica]

Secondo rilevamenti dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito Italiano nel periodo 1943-1945 l'Esercito della Repubblica Sociale contò 558 000 effettivi[18]

I caduti in Italia di questo esercito furono circa 12 000 militari e 2.500 civili. [senza fonte] I prigionieri di guerra vennero inviati principalmente nel campo di concentramento di Hereford, nel Texas.

La fondazione [modifica]

Il proposito di «continuare la guerra» era sempre stato presente nella natura del nuovo regime fascista. Durante i colloqui svoltisi il 14 e 15 dicembre 1943 al Quartier Generale del Führer, Mussolini e Hitler concordarono la formazione di un nuovo esercito fascista: Hitler aveva intenzione, inizialmente, di far istituire un'armata di circa 10 o 15 divisioni, ma poi nella sua direttiva per l'attuazione del piano ne furono previste solo 4.

Intanto Mussolini tornò in Italia e ad ottobre partecipò a un convegno, insieme al neo-nominato ministro della difesa maresciallo Rodolfo Graziani (capo di stato maggiore fu il generale Gastone Gambara), sulla ricostituzione dell'esercito: venne considerata realistica la prospettiva di arruolare ben 500 000 militari, con i quali armare 25 divisioni, delle quali 5 corazzate e 10 motorizzate. Il progetto, però, da subito apparve alquanto pretenzioso, poiché nemmeno un massiccio sostegno tedesco - tra l'altro difficile da ottenere in quel momento - avrebbe potuto portare ad un risultato numericamente così imponente.

I risultati, come prevedibile e previsto, furono notevolmente inferiori. Le trattative con i tedeschi portarono solo alla costituzione delle 4 divisioni originariamente previste dal piano di Hitler, più altri reparti minori destinati al supporto delle forze armate tedesche, specialmente di genieri e artiglieri.

Nell'aprile del 1944 gli arruolati (volontari e coscritti - erano anche state richiamate alcune classi di leva) erano circa 200 000. Di questi, molti erano destinati ad altre mansioni: lavoratori nelle industrie della Germania soprattutto, e ausiliari per la FlaK (l'artiglieria contraerei tedesca). Alla fine dell'anno, anche grazie alla minaccia della pena di morte per i renitenti, vennero arruolati 250 000 soldati, di cui 50 000 ceduti alla Luftwaffe. Il personale dell'apparato territoriale, il cui compito principale era quello di assicurare l'arruolamento e i servizi logistici, passò da circa 29 000 unità al momento dell'istituzione a 47 000 a metà del 1944; dopo, a causa dell'avanzata alleata, la riduzione del numero di comandi militari regionali portò anche alla riduzione del personale, che finì per stabilizzarsi sulle 27 000 unità.

I vertici dell'organizzazione militare [modifica]

Reparto della RSI in marcia d'addestramento

Ai vertici dell'organizzazione militare della RSI stava il Ministero della Difesa Nazionale che, dal 6 gennaio 1944 si chiamò Ministero delle Forze Armate. Il ministro, che fu il maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani, deteneva anche la carica di capo di stato maggiore generale.

Collaboravano col ministro un sottosegretario per l'Esercito, uno per la Marina e uno per l'Aeronautica. Esisteva, poi, un capo di stato maggiore per l'Esercito, uno per la Marina e uno per l'Aeronautica[19].

L'organizzazione militare territoriale [modifica]

Il territorio della RSI effettivamente controllato dal governo fu organizzato, fin dal settembre 1943, in Comandi Militari Regionali (CMR) e Comandi Militari Provinciali (CMP) I CMR furono:

Ogni C.M.R. constava di un Comando, un Quartier Generale con una Delegazione di Intendenza e una Compagnia (in alcuni casi un Battaglione) Regionale. Ogni Provincia ebbe un CMP con un proprio Quartier Generale, una compagnia (o un battaglione) provinciale e il distretto militare. Furono, infine, attivati (e rimasero attivi fino all'aprile 1945) tutti i servizi necessari: le Scuole Ufficiali, il Servizio Artiglieria, il Servizio Automobilistico, il Servizio Chimico, il Servizio di Commissariato, il Servizio Genio, il Servizio Sanitario, il Servizio Trasporti, il Servizio Veterinario[19].

Le 4 divisioni regolari o Grandi Unità [modifica]

I volontari ed i coscritti (compresi i prigionieri italiani, pochi per la verità, che si offrirono di combattere per il nuovo regime) furono mandati in Germania per l'addestramento. Lì furono anche costituite effettivamente le divisioni: I Divisione bersaglieri Italia, II Divisione corazzata Littorio, III Divisione fanti di marina San Marco, IV Divisione alpini Monte Rosa.

Ognuna di queste divisioni avrebbe avuto un organico ricalcato su quello delle divisioni Jager tedesche: 2 reggimenti di fanteria (o di alpini) di tre battaglioni ciascuno ed un reggimento di artiglieria, più i reparti di supporto che comprendevano un'ulteriore forza di fanteria, reparti da ricognizione, compagnia di cannoni controcarro, comunicazioni, sanità, genieri etc, per un totale di circa 14 000 uomini.

La San Marco e la Monte Rosa furono le prime a tornare in Italia, pur con carenze di organico e specialmente di mezzi di trasporto e armi. La realtà italiana, il disprezzo della popolazione, le vicende della guerra portarono presto a diserzioni in massa che raggiunsero picchi del 10% nel settembre del 1944. Le altre due divisioni ebbero una vita più travagliata: per poco non vennero sciolte d'autorità dai tedeschi ed i loro soldati spediti come ausiliari nella FlaK. Tornarono in Italia nell'ottobre del 1944, anch'esse debilitate da gravissime carenze nell'organico quanto nei mezzi.

Impiego al fronte [modifica]

La maggior parte delle azioni compiute da queste unità furono dirette contro il movimento partigiano: i comandanti tedeschi, poco inclini a fidarsi dei militari italiani dopo i fatti dell'8 settembre, preferivano evitare di coinvolgerle nei combattimenti del fronte, e si convinsero ad usarle solo nei momenti e nei settori più tranquilli della Linea Gotica.

Questo atteggiamento contribuì a deprimere ulteriormente il morale di quanti, soprattutto giovani coscritti, avevano risposto al bando Graziani mossi dal sincero desiderio di difendere il suolo patrio, vedendosi invece costretti alle meschine e crudeli azioni della controguerriglia perpetrate contro villaggi e popolazioni italiane.

Ad ogni buon conto, specialmente per il rilievo propagandistico che la cosa avrebbe potuto suscitare, Mussolini insisteva perché le divisioni della RSI fossero schierate di fronte agli alleati. Ottenne di più: la partecipazione ad una piccola controffensiva nel settore occidentale della Linea Gotica, con la quale i tedeschi speravano di poter riprendere Lucca e Livorno durante l'inverno. L'operazione, denominata Wintergewitter ("temporale d'inverno"), scattò alla mezzanotte del 25 dicembre, con l'obiettivo iniziale di occupare la valle del Serchio.

Nonostante le pretese della propaganda fascista, che voleva far passare l'operazione Wintergewitter come una sorta di controffensiva delle Ardenne italiana, la battaglia fu di proporzioni quantomeno limitate, sia per i risultati ottenuti (far ripiegare un gruppo di combattimento reggimentale statunitense) sia per le dimensioni dei reparti impegnati (tre battaglioni tedeschi e tre della RSI, più i supporti d'artiglieria). Entro il 31 dicembre il fronte si sarebbe nuovamente stabilizzato sulle posizioni di partenza, senza alcun mutamento strategico o tattico di rilievo.

Dislocazione delle truppe [modifica]

I reparti dell'Esercito Repubblicano furono impiegati:

Ad ovest sulle Alpi contro i partigiani francesi e italiani.

  1. Divisione Littorio
  2. Divisione Alpina Monterosa con circa 10 000 uomini

Ad est fra Gemona e Cividale del Friuli contro i partigiani italiani e jugoslavi

  1. Reggimento Volontari Friulani Tagliamento dal 26 settembre 1943 (trasferita nel 1944 in Val Camonica, BS)
  2. Battaglione Bersaglieri Mussolini dall'ottobre 1943 fino al 27 aprile 1945.
  3. Cinque reggimenti di Milizia Difesa Territoriale per un totale di 10000 uomini.

A sud

  1. Divisione Alpina Monterosa con circa 8000 uomini sul fronte della Garfagnana (linea Gotica occidentale)
  2. Divisione San Marco sulla Garfagnana con il II Battaglione del 6º Reggimento
  3. Divisione San Marco sul fronte appenninico (Abetone) col III Battaglione del 5º Reggimento
  4. La Divisione Bersaglieri Italia diede il cambio alla Monterosa sul fronte della Garfagnana. Le operazioni su tale fronte erano comandate dal Generale Mario Carloni, comandante prima della Divisione Monterosa poi della Italia.

Le quattro divisione addestrate in Germania costituivano, insieme a due divisioni tedesche e a reparti minori, l'"Armata Liguria" sotto il comando del Maresciallo Graziani. La 29^ Divisione SS Italiane fu impiegata con due Btg contro gli anglo-americani a Nettuno nel marzo-aprile 1944.

Il Battaglione Bersaglieri Mameli combatté, con il tenente Dani, prima sul fronte adriatico (linea Gotica orientale) poi partecipò alla Battaglia di Lunigiana contro i Nisei che avevano sfondato il fronte tirrenico e tentavano di scendere in Lunigiana per tagliare la ritirata alle truppe della Garfagnana.

Quattro battaglioni di Bersaglieri volontari furono impiegati sul fronte francese e sul fronte appenninico. Il Gruppo Battaglioni d'Assalto Forlì combatté fino all'ultimo sul fronte del Senio, a fianco della 278^ Divisione tedesca.

La Divisione Decima (i reparti terrestri della X^ MAS) che arrivò a contare oltre 30000 uomini (6 battaglioni e 2 gruppi di artiglieria) fu presente col Battaglione Barbarigo sul fronte di Nettuno, sul fronte del Senio con 3 Btg e sul fronte orientale con altrettanti (Il Battaglione Fulmine bloccò l'avanzata dei partigiani jugoslavi a Selva di Tarnova, tenendo Gorizia). Inoltre il Battaglione Nuotatori Paracadutisti fu impiegato in missioni di sabotaggio oltre le linee.

Il Battaglione paracadutisti Nembo fu presente fin dall'11 febbraio 1944 a Nettuno insieme al Barbarigo. Il Battaglione paracadutisti Folgore combatté per la difesa di Roma. Successivamente, costituito in reggimento, fu impiegato sulle Alpi Occidentali.

Vi erano, infine, reparti che combattevano fuori dai confini: in Francia, Germania, Unione Sovietica, Balcani, Dodecaneso.

L'Aeronautica Nazionale Repubblicana [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Aeronautica Nazionale Repubblicana.
Insegna alare dei velivoli dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana
Emblema distintivo applicato sulle derive e le fusoliere degli aerei della Repubblica Sociale Italiana dall'ottobre 1943 al maggio 1945.
Emblema della Luftwaffe, sino al 1944 essa comparì simultaneamente per un certo periodo anche sugli aerei dell'ANR come i Macchi M.C.205 poiché alla data dell'armistizio di Cassibile tutti gli aerei rimasti al Nord furono inizialmente sequestrati dai tedeschi.
Adriano Visconti, asso degli assi sia con la Règia Aeronautica che con l'Aeronautica Nazionale Repubblicana, ucciso da una raffica di mitra alla schiena nel cortile della caserma "Savoia Cavalleria" a Milano in circostanze mai chiarite. Era di ritorno da un incontro con i rappresentanti del CLN con i quali aveva trattato la resa.

L'istituzione di un'aviazione per la nascente repubblica fascista si fa in genere risalire alla nomina del tenente colonnello Ernesto Botto a sottosegretario per l'aeronautica il 23 settembre 1943, durante la riunione del consiglio dei ministri della RSI.

Botto si insediò nel suo ufficio al ministero dell'aeronautica il 1º ottobre e si trovò di fronte una situazione assai ingarbugliata, le cui cause erano da ricercare nella mancanza di collegamenti e nelle iniziative tedesche: il comandante della Luftflotte 2, il Feldmaresciallo Wolfram von Richthofen, aveva già iniziato a radunare il personale della Regia Aeronautica da arruolare nella Luftwaffe. Il Feldmaresciallo Albert Kesselring, a sua volta, aveva nominato il tenente colonnello Tito Falconi "ispettore della caccia italiana", con il compito di rimettere la suddetta caccia in condizione di combattere. Per di più Richtofen aveva nominato un comandante per l'aviazione italiana nella persona del generale Müller.

Tra reciproche incomprensioni, distanze e differenze di vedute, la costituzione dell'Aeronautica Repubblicana dovette attendere l'autorizzazione personale di Hitler in novembre, dopo che le proteste ufficiali di Botto avevano risalito l'intera scala gerarchica tedesca. Nel gennaio del 1944 si iniziava così la formazione dei reparti: un gruppo per ogni specialità (caccia, su Macchi M.C.205 Veltro, aerosiluranti, su Savoia-Marchetti S.M.79 e trasporto) con una squadriglia complementare. Il tutto, per le operazioni, dipendeva dai comandi tedeschi. In aprile veniva formato un ulteriore gruppo di caccia, su Fiat G.55 Centauro.

Nel giugno dello stesso anno iniziò il passaggio ai velivoli tedeschi Messerschmitt Bf-109G-6, che avrebbero dovuto armare anche il nuovo 3º Gruppo. Questa espansione della caccia fu dovuta sia al crescente disimpegno della Luftwaffe dal settore meridionale, sia dai buoni risultati conseguiti inizialmente. Ma questi terminarono ben presto ed il tasso di perdite cominciò a farsi in breve tempo superiore al numero di abbattimenti ottenuto.

L'aeronautica della RSI, che comprese anche l'artiglieria contraerea e i paracadutisti era costituita da tre gruppi Caccia (che contrastarono per quanto possibile la superiorità dell'aviazione nemica) il gruppo aerosiluranti Faggioni (caduto col suo aereo durante la battaglia di Anzio) e due gruppi di aerotrasporti.

Il Gruppo Aerosiluranti Buscaglia Faggioni, comandato da Carlo Faggioni ottenne risultati ancora peggiori, subendo forti perdite mentre attaccava la flotta alleata che supportava la testa di ponte di Anzio. Nonostante le numerose navi colpite (secondo i bollettini ufficiali), la vita operativa del gruppo fu piuttosto avara di riconoscimenti: l'unico siluro messo a segno dopo tanto impegno, fu quello che danneggiò un piroscafo britannico, colpito a Nord di Bengasi, nel periodo in cui il reparto operava da basi ubicate in Grecia, e un piroscafo al largo di Rimini il 5 gennaio 1945[20]. Da segnalare dopo la morte di Faggioni il raid, anch'esso senza risultati di sorta, che il gruppo fece contro la piazzaforte di Gibilterra, guidata dal nuovo comandante Marino Marini per procurare argomenti alla propaganda mussoliniana.

Quanto al gruppo dei trasporti (al quale se ne aggiunse un secondo), fu utilizzato dalla Luftwaffe sul fronte orientale e poi sciolto nell'estate del 1944.

Anche gli altri reparti, in sostanza, subirono la stessa sorte nello stesso momento: in quei mesi i rapporti fra i vertici militari della RSI e quelli tedeschi erano peggiorati notevolmente, anche a causa dei sempre minori risultati raggiunti dai reparti dell'Aeronautica Repubblicana, i cui mezzi e piloti subivano un eccessivo logorio. Von Richtofen, che doveva ridurre ulteriormente la presenza aerea tedesca in Italia, pensò di risolvere la questione sciogliendo i reparti della RSI e sostituendoli con una sorta di "legione aerea italiana" , strutturata secondo il modello del Fliegerkorps tedesco, il cui comandante sarebbe stato il generale di brigata aerea Tessari (che avrebbe così lasciato la carica di sottosegretario che ricopriva dopo l'esonero di Botto), affiancato da uno stato maggiore germanico che avrebbe permesso alla Luftwaffe di mantenere il suo controllo sulle attività di guerra aerea in Italia.

Le solite rivalità interne e incomprensioni fecero bloccare il piano, lasciando la RSI di fatto senza aviazione fino a settembre, quando si riuscì a rimettere in moto il processo. Da ottobre fino al gennaio del 1945, quando il 1º gruppo tornò dall'addestramento in Germania, il 2º fu l'unico reparto di caccia disponibile per contrastare l'azione degli Alleati. Ma l'arrivo della nuova unità mutò di poco la situazione complessiva, che vedeva la caccia della RSI subire perdite sempre maggiori.

Le ultime missioni di volo vennero svolte il 19 aprile, quando i due gruppi intercettarono dei bombardieri e dei ricognitori, probabilmente statunitensi: uno dei ricognitori venne abbattuto, a prezzo di un caccia; quanto allo scontro con i bombardieri, questo fu disastroso e gli aerei della RSI, colti di sorpresa dalla reazione della scorta, subirono cinque perdite senza ottenere alcun abbattimento. Nei giorni successivi, impossibilitati a compiere decolli per mancanza di carburante e sottoposti a continui attacchi da parte dei partigiani, i reparti distrussero il materiale di volo e si arresero.

La Marina di Guerra Nazionale Repubblicana [modifica]

La formazione di una nuova marina fu un'operazione assai più lenta e difficoltosa rispetto alla pur travagliata vicenda della costituzione della altre due armi.

Il primo e più grosso problema che si poneva sulla via era quello di reperire i mezzi: il naviglio pesante e gran parte del naviglio leggero, in ottemperanza alle clausole armistiziali, si era messo in navigazione alla volta del Grand Harbour della Valletta per consegnarsi agli Alleati; i mezzi che erano stati abbandonati nei porti italiani avevano subito l'ormai usuale operazione di sabotaggio ad opera degli equipaggi, in modo che le truppe tedesche non se ne potessero impossessare.

Si schierarono con la nuova repubblica il comandante Grossi, che aveva autorità sui sottomarini della base di Betasom (Bordeaux) ed il principe Junio Valerio Borghese, comandante la Xª MAS. Il caso della Xª MAS sotto il comando di Borghese merita un discorso a parte, in quanto questi aveva preso accordi pressoché privati con gli alti comandi della Kriegsmarine e, pur appartenendo lui ed il suo reparto a quella che era stata la Regia Marina, non intesero divenire parte dell'organigramma della futura marina della RSI, mantenendosi a sicura distanza, almeno nella fase iniziale, dal coinvolgimento politico.

Il sottosegretario per la marina, capitano di fregata Ferruccio Ferrini, nominato il 26 ottobre, tentò fin da subito di inglobare la "Decima" direttamente nella sua forza armata (come arma subordinata), ma con scarso successo e scatenando pericolosi incidenti che per poco non spinsero i "marò" del principe Borghese all'insurrezione armata contro il governo (questo fu peraltro uno dei motivi del successo e della popolarità della Flottiglia, che solo contando sull'immagine del comandante e sulla sua "indipendenza" politica, riuscì a raccogliere un numero impressionante di arruolamenti volontari e crebbe, allargandosi anche ad attività di terra, sino a divenire una sorta di esercito autonomo). Questi accadimenti, uniti alla scarsità del materiale navale rimasto in mano ai fascisti, portarono i comandi tedeschi ad arroccarsi su posizioni di diffidenza e di non collaborazione. La sostituzione di Ferrini con Giuseppe Sparzani (già capo di Stato Maggiore) dissolse le reticenze tedesche circa l'istituzione della nuova arma navale, che comunque sarebbe avvenuta alla condizione di mettere i reparti della marina della RSI alle dipendenze tedesche.

La marina di Salò, oltre ai Comandi di zona servizi della marina (che ne costituivano l'organizzazione territoriale), aveva previsto l'istituzione di Comandi navali per l'impiego delle unità militari: uno per le unità di superficie, uno per i sommergibili, e infine uno per le unità anti-sommergibile. L'ultimo fu l'unico effettivamente funzionante; i sommergibili per il secondo furono impiegati principalmente per trasportare spie e agenti oltre le linee alleate; il primo non venne mai istituito in quanto non vi sarebbero state navi da assegnargli. Le uniche navi che videro un limitato impiego furono due incrociatori che vennero usati come navi anti-aeree ormeggiate nel porto di Trieste.

Da ricordare che l'Italia, quando ormai le sorti del conflitto voltavano al peggio, decise di dotare la Regia Marina di due portaerei, l'Aquila e lo Sparviero, rimediando così ad una grave carenza strategica. Alla data dell'armistizio le due navi erano ancora in fase di costruzione nei cantieri di Muggiano (SP), quindi in territorio controllato dalle forze dell'Asse, furono ultimate ma non divennero mai operative a causa dell'evolversi degli eventi bellici. Per evitare che venisse affondata dai tedeschi all'ingresso del porto, bloccandolo, l'Aquila venne affondata dagli incursori della Regia Marina prima del termine delle ostilità.



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La Guardia Nazionale Repubblicana [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Guardia Nazionale Repubblicana.

La Guardia Nazionale Repubblicana fu creata con il Decreto Legislativo del Duce913 dell'8 dicembre 1943 - XXII E.F. "Istituzione della «Guardia Nazionale Repubblicana»", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale d'Italia nº 131 del 5 giugno 1944.

Con il successivo Decreto del Duce921 del 18 dicembre 1943 - XXII E.F. "Ordinamento e funzionamento della Guardia Nazionale Repubblicana", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale d'Italia nº 166 del 18 luglio 1944, furono fissati l'ordinamento ed il funzionamento.

La Guardia Nazionale Repubblicana con Decreto Legislativo del Duce469 del 14 agosto 1944 - XXII E.F. "Passaggio della G.N.R. nell'Esercito Nazionale Repubblicano" entra a far parte dell'Esercito Nazionale Repubblicano.

Le Brigate Nere [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Brigate Nere.
Mussolini incontra un milite repubblichino adolscente (1944)

Le Brigate Nere furono l'ultima creazione armata della Repubblica.

L'idea di un «esercito fascista», politicizzato, di partito, era sempre stata uno dei cavalli di battaglia del segretario Pavolini, che aveva proposto l'istituzione di un corpo con queste caratteristiche sin dai primi del '44, ma aveva ottenuto ben poco: il suo «centro di arruolamento volontario», nel quale si sarebbero dovuti presentare in massa i fascisti non ancora sotto le armi, rimase deserto: in circa tre mesi, solo il 10% degli iscritti rispose alla chiamata, circa 47 000 su 480 000. La Guardia Nazionale Repubblicana fu sempre a corto sia di uomini che di mezzi.

Pavolini riuscì però a sfruttare due opportunità che gli si offrirono una di seguito all'altra: l'occupazione di Roma da parte degli Alleati a giugno, e l'attentato a Hitler a luglio. Mussolini, scosso da questi avvenimenti, cedette ed emanò il decreto (pubblicato sulla Gazzetta il 3 agosto) per l'istituzione del Corpo ausiliario delle Camicie Nere. Il nuovo corpo, sottoposto a disciplina militare ed al codice penale militare del tempo di guerra, fu costituito da tutti gli iscritti al Partito Fascista Repubblicano di età compresa tra i diciotto e sessanta anni non appartenenti alle Forze Armate, organizzati in Squadre d'Azione; il segretario del Partito dovette trasformare la direzione del Partito in un ufficio di Stato Maggiore del Corpo ausiliario delle Squadre d'Azione delle Camicie Nere, le Federazioni si trasformarono in Brigate del Corpo ausiliario, il cui comando fu affidato ai capi politici locali. Il decreto, in poche parole, come recitava il testo, faceva sì che «la struttura politico-militare del Partito si trasformasse in un organismo di tipo esclusivamente militare».

Fu Pavolini a coniare l'espressione «Brigate Nere», con la quale voleva esprimere la loro contrapposizione alle «Brigate Rosse», «Brigata Garibaldi», «Brigata Matteotti», etc, classici nomi da reparto della Resistenza. Essendo segretario del Partito, e quindi comandante delle Brigate, spettò a lui compito di scegliere i suoi collaboratori: Puccio Pucci, funzionario del CONI, fu il suo più stretto aiutante, ed il primo capo di Stato Maggiore fu il console Giovanni Battista Raggio. Il loro tentativo di riesumare lo squadrismo degli inizi (ma su scala più vasta) non si rivelò molto efficace: dei 100 000 uomini previsti da Pavolini se ne reperirono formalmente circa 20 000, e di questi solo 4 000 furono combattenti, militi cioè realmente operativi. Furono inquadrati nelle cosiddette Brigate Nere mobili, che sarebbero risultati gli unici reparti di questa milizia a combattere contro i partigiani.

Per le armi e i mezzi di trasporto le Brigate mobili dipendevano dai militari tedeschi, inizialmente più che contenti di poter contare sui fascisti repubblicani per le imprese antipartigiane, e specialmente per il "lavoro sporco". Le Brigate avrebbero composto un poco invidiabile e davvero poco commendevole curriculum: paesi incendiati, donne e bambini passati per le armi, deportazioni, sequestri, torture, esecuzioni sommarie. Ai crimini tipici delle azioni di contro-guerriglia, si aggiunsero quelli tipici di reparti che avevano arruolato ogni sorta di elemento, includendo anche più di un criminale: i rapporti della Guardia Nazionale Repubblicana elencano numerosi casi di saccheggio, furto, rapina, arresto illegale, violenze a cose e persone[senza fonte].

L'indisciplina e la violenza gratuita e scoordinata manifestate dalle Brigate sono dati accertati dagli stessi comandanti tedeschi, che persero il loro iniziale - seppur tiepido - entusiasmo verso la loro istituzione registrando come le Brigate fossero incapaci di coordinarsi con i reparti della Wehrmacht e non obbedissero agli ordini (che generalmente ignoravano); le loro violenze erano tali che, nelle zone in cui operavano, per reazione popolare i partigiani aumentavano di numero. Il comandante in capo delle SS in Italia, generale Karl Wolff, forse per evitare un ulteriore aggravio del problema (ma anche perché stava per prendere iniziative di colloqui separati con gli Alleati e voleva operare un gesto di «distensione»), decise di mettere fuori combattimento le Brigate Nere mobili, prosciugando i loro canali di rifornimento[senza fonte].

Servizio ausiliario femminile [modifica]

Il Servizio Ausiliario Femminile era un corpo militare composto unicamente da donne. Furono in tutto oltre 6 mila le donne, di ogni ceto sociale e provenienti da ogni parte d'Italia, a presentare domanda di arruolamento. Il corpo, venne istituito con il decreto ministeriale N. 447 del 18 aprile 1944. Fu lo stesso Mussolini a ritenere importante la creazione di un corpo speciale come quello delle ausiliarie.

Per le ausiliarie era previsto uno stipendio oscillante tra le 700 lire per il personale impiegatizio e le 350 lire del personale di fatica. Al corpo vennero affidati anche compiti importanti e rischiosi, quali vere operazioni di sabotaggio. Nella Corrispondenza repubblicana del 15 agosto 1944, il duce esaltò l'ardore combattivo di venticinque franche tiratrici fasciste di Firenze contro gli invasori angloamericani, e descrisse la sorpresa dell'agenzia Reuters e del giornale inglese Daily Mirror espressi da Curzio Malaparte[21].

I reparti non indivisionati [modifica]

Dopo l'8 settembre 1943 molti ufficiali cercarono di riorganizzare gli sbandati, formando piccoli reparti che restarono in generale autonomi nella nascente RSI[19].

  • Le compagnie di sicurezza
  • I Battaglioni costieri
  • Le Compagnie presidiarie
  • Le Compagnie di guardia
  • Il Reparto guardiaforti
  • La Compagnia di protezione impianti
  • La 1ª Compagnia territoriale
  • La 1ª Compagnia autonoma di fanteria
  • La Compagnia mista Bersaglieri-Alpini
  • Compagnia lavoratori Zara
  • I Battaglioni salmerie e carreggio
  • L'Artiglieria costiera
  • Il Gruppo squadroni corazzato San Giusto
  • Il Gruppo squadroni corazzato Leoncello
  • L'Arma del Genio
  • L'Ispettorato Militare del Lavoro
  • Il reggimento volontari friulani Tagliamento
  • Il Bgt. Volontari di Sardegna
  • Il Bgt. volontari mutilati Onore e sacrificio
  • Il Bgt. Moschettieri delle Alpi

I Servizi Speciali della RSI [modifica]

Furono organizzati diversi organismi che preparavano volontari per missioni di sabotaggio e di informazione nei territori controllati dagli Alleati. Si trattava di missioni naturalmente molto rischiose e diversi volontari furono catturati e fucilati o condannati a pene detentive.

Le Volpi argentate
Gruppo Speciale Autonomo al comando del Prpf. D'Amato, che agiva oltre le linee nemiche. Molti degli agenti erano donne[19].
I servizi speciali della Marina
furono quelli del Battaglione Nuotatori Paracadutisti della Xª Flottiglia MAS.
I servizi speciali dell'aeronautica
Anche l'aeronautica ebbe i suoi servizi speciali (Coordinatore il tenente colonnello Ferruccio Vossilla) che, con personale addestrato all'aviolancio, compì missioni in territorio controllato dagli Alleati.
Il nucleo paracadutisti dalmati
fu creato per iniziativa del colonnello Giovanni Host Venturi e comandato dal sottotenente paracadutista Ruggero Benussi. Operò nei Balcani con lanci di uomini che compirono azioni contro i partigiani jugoslavi di Tito e a sostegno dei cetnici di re Pietro II che collaboravano con le truppe dell'Asse.
I servizi speciali della polizia
uno di questi servizi fu organizzato dal Comando della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti e fu denominato «Squadra servizi speciali». Distaccato presso il comando della Divisione Hermann Göring, operò sul fronte di Bologna compiendo azioni oltre le linee. Furono organizzati anche altri Servizi Speciali di Polizia dal Ministero dell'Interno, per addestrare squadre di sabotatori.

La bandiera della Repubblica Sociale Italiana [modifica]

Heuberg 17 luglio 1944, il Duce passa in rassegna i reparti della divisione Italia, in primo piano si nota il Tricolore della Repubblica Sociale Italiana, identico a quello regio ma privato dello scudo sabaudo

Lo Stato Nazionale Repubblicano, nato il 23 settembre 1943 ebbe una bandiera de facto nel Tricolore italiano, che venne utilizzata fino al 30 novembre 1943, quando, il 1 dicembre 1943 furono ufficializzate la bandiera nazionale e la bandiera di combattimento per le Forze armate del nuovo stato denominato Repubblica Sociale Italiana.

La bandiera di combattimento delle Forze armate della Repubblica Sociale Italiana fu cambiata il 6 maggio 1944.

La bandiera nazionale fu ammainata definitivamente il 25 aprile 1945, con lo scioglimento dal giuramento per militari e civili, quale ultimo atto del Governo di Benito Mussolini, mentre la bandiera di combattimento fu ammainata ufficialmente il 3 maggio 1945, con la Resa di Caserta, realmente il 17 maggio 1945, quando l'ultimo reparto combattente della Repubblica Sociale Italiana, la Sezione di Artiglieria di Marina, dipendente dalla Compagnia di Artiglieria di Marina dell'Unità Atlantica di Fanteria di Marina, a Saint Nazaire, base navale per sottomarini tedeschi sull'estuario della Loira (Francia) - altro posizionamento alternativo era la Fortezza del Vallo Atlantico "Gironde Mündung Süd" a Pointe de Grave sull'estuario della Gironda (Francia), cessò le ostilità arrendendosi[22] [23].

L'aquila argentea fu il tradizionale simbolo dell'antica repubblica romana (mentre l'aquila aurea lo era dell'impero romano). Il fascio littorio dorato è un antico simbolo romano che fu scelto da Benito Mussolini ad emblema ufficiale del fascismo. Esso intendeva rappresentare l'unità degli italiani (il fascio di verghe tenuto assieme), la libertà e l'autorità intesa come potere legale (in origine il fascio littorio era usato come insegna dai magistrati aventi iuris dictio, ovvero aventi potere di presiedere i processi, giudicare i casi e emettere le sentenze).

La bandiera nazionale [modifica]

La bandiera nazionale della Repubblica Sociale Italiana fu ufficializza da tre atti pubblici:

  « "Il Consiglio dei Ministri ha poi deciso che dal 1 dicembre p.v. lo Stato nazionale repubblicano prenda il nome definitivo di "Repubblica Sociale Italiana". Ha inoltre stabilito che la bandiera della Repubblica Sociale Italiana è il tricolore, col fascio repubblicano sulla punta dell'asta..." »
 
(Verbale del IV Consiglio dei Ministri dello Stato Nazionale Repubblicano del 24 novembre 1943 pubblicati come: Anonimo, Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana settembre 1943 - aprile 1945, Archivio di Stato, Roma (2002) - Vol. I, pag. da 76 a 162.)
  « "Schema di decreto col quale si stabilisce la foggia della bandiera della Repubblica Sociale Italiana e della bandiera di combattimento delle Forze Armate." »
 
(Verbale del VI Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana dell'11 gennaio 1944 pubblicati come: Anonimo, Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana settembre 1943 - aprile 1945, Archivio di Stato, Roma (2002) - Vol. I, pag. da 223 a 289.)
  « "La bandiera della Repubblica Sociale Italiana è formata da un drappo di forma rettangolare interzato in palo di verde, di bianco e di rosso con il verde all'asta sormontata dal Fascio Repubblicano. Il drappo deve essere alto due terzi della sua lunghezza ed i tre colori vanno distribuiti nell'ordine anzidetto ed in parti uguali.»
 
(Articolo nº 1 del Decreto Legislativo del Duce della Repubblica Sociale Italiana e Capo del Governo141 del 28 gennaio 1944 - XXII E.F. "Foggia della bandiera nazionale e della bandiera di combattimento delle Forze Armate", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale d'Italia nº 107 del 6 maggio 1944 - XXII E.F.)

La bandiera di combattimento [modifica]

Le bandiere di combattimento delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana furono ufficializze da tre atti pubblici:

  « "Il Consiglio dei Ministri ha poi deciso che dal 1 dicembre p.v. lo Stato nazionale repubblicano prenda il nome definitivo di "Repubblica Sociale Italiana". [omississ] la bandiera di combattimento per le Forze armate è il tricolore con frange e un fregio marginale di alloro e con ai quattro angoli il fascio repubblicano, una granata, un'ancora, un'aquila." »
 
(Verbale del IV Consiglio dei Ministri dello Stato Nazionale Repubblicano del 24 novembre 1943 pubblicati come: Anonimo, Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana settembre 1943 - aprile 1945, Archivio di Stato, Roma (2002) - Vol. I, pag. da 76 a 162.)
  « "Schema di decreto col quale si stabilisce la foggia della bandiera della Repubblica Sociale Italiana e della bandiera di combattimento delle Forze Armate." »
 
(Verbale del VI Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana dell'11 gennaio 1944 pubblicati come: Anonimo, Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana settembre 1943 - aprile 1945, Archivio di Stato, Roma (2002) - Vol. I, pag. da 223 a 289.)
  « "La bandiera di combattimento delle Forze Armate è caricata di un'aquila in nero ad ali spiegate poggiata su un Fascio Repubblicano posto in senso orizzontale, il tutto come dalla tavola annessa al presente decreto. Il drappo deve essere alto un metro e lungo metri 1,50.»
 
(Articolo nº 2 del Decreto Legislativo del Duce della Repubblica Sociale Italiana e Capo del Governo141 del 28 gennaio 1944 - XXII E.F. "Foggia della bandiera nazionale e della bandiera di combattimento delle Forze Armate", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale d'Italia nº 107 del 6 maggio 1944 - XXII E.F.)

 

Bandiera dello Stato Nazionale Repubblicano
(23 settembre 1943 - 30 novembre 1943)
Immagine:FIAV_defacto.png Immagine:FIAV_historical.png

Bandiera nazionale della Repubblica Sociale Italiana
(1 dicembre 1943 - 28 aprile 1945)
Immagine:FIAV_normal.png Immagine:FIAV_historical.png

Bandiera di combattimento per le Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana
(1 dicembre 1943 - 5 maggio 1944)
Immagine:FIAV_normal.png Immagine:FIAV_historical.png

Bandiera di combattimento delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana
(6 maggio 1944 - 3 maggio 1945)
Immagine:FIAV_normal.png Immagine:FIAV_historical.png

La caduta [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Caduta della Repubblica Sociale Italiana.

La caduta della Repubblica Sociale Italiana ebbe tre tempi:

  • il 25 aprile 1945, con lo scioglimento dal giuramento per militari e civili, quale ultimo atto di governo di Mussolini;
  • il 28 aprile 1945, con la fucilazione di Mussolini e di gran parte del governo della R.S.I a Dongo;
  • il 29 aprile 1945, con la Resa di Caserta. Una resa incondizionata, congiunta ai Comandi tedeschi e relativa al territorio italiano, che impose alle Forze Armate repubblicane la consegna delle armi, oltre il passaggio in prigionia a discrezione dei vincitori della «campagna d'Italia», anche se alcuni reparti in Venezia Giulia e Piemonte si arrenderanno solo ai primi di maggio del 1945.

Nel 1944 gli angloamericani erano riusciti a superare le linee di resistenza lungo la penisola e alla conquista del Nord Italia si frapponeva soltanto la linea Gotica. Quello che restava dello stato repubblicano istituito il 28 settembre 1943 a Rocca delle Caminate di Meldola, trafitto da bombardamenti, guerriglie, razionamenti, requisizioni e sabotaggi, era sempre più in difficoltà.

Un ultimo tentativo di simbolica resistenza disperata fu progettato con il "Ridotto alpino repubblicano", ma la prospettiva di un inutile bagno di sangue fece desistere da tale progetto.

La fine politica della RSI avvenne la sera del 25 aprile 1945 nella sede della Prefettura milanese. Determinanti furono la disfatta tedesca del 21 aprile a Bologna e la decisione di Mussolini di non difendere Milano, aggiunte al fallimento di accordi di resa tramite esponenti moderati del Partito Socialista o, in extremis, tramite l'Arcivescovo Schuster.

Traduzione in tedesco della delega di Graziani a Wolff per una resa delle Forze Armate della RSI identica a quella dei Comandi tedeschi in Italia.

Dopo aver trasferito i poteri governativi al Ministro della Giustizia e aver disimpegnato tutti dalla fedeltà alla RSI, Mussolini partì per Como, disarmato e con intenti affidati al caso anche se pronto a quell'incontro, da tempo desiderato, con un emissario di Churchill.

Giustiziato il 28 aprile a Giulino di Mezzegra (Como), l'indomani Mussolini sarà portato a Milano insieme ai fucilati sul Lungolago di Dongo e appeso a testa in giù alla pensilina di una stazione di servizio nei pressi del luogo nel quale il 10 agosto 1944 era stata consumata la Strage di Piazzale Loreto, che aveva visto la fucilazione da parte dei nazifascisti di 15 partigiani ed antifascisti lasciati esposti con ludibrio e per intimidazione per tutto il giorno a seguito di un attentato di dubbia origine a causa del quale avevano perso la vita alcuni cittadini innocenti e nessun tedesco.

Alle ore 14:00 dello stesso 29 aprile 1945 le Forze Armate della RSI risultarono definitivamente sconfitte secondo le Convezioni dell'Aia e di Ginevra perché, dopo un impegno firmato da Graziani per una resa militare alle stesse condizioni imposte ai tedeschi, in modo esplicito erano state incluse in un documento a validità internazionale, passato alla Storia come Resa di Caserta.

Detto documento era attinente alla capitolazione del Comando tedesco del Sud Ovest e di quello delle SS und Polizei in Italia (per le retrovie) e fissava dopo tre giorni, alle ore 14:00 del 2 maggio, la cessazione delle ostilità sull'intero territorio di competenza.

Per la guerra dichiarata dall'Italia il 10 giugno 1940 alla Francia e alla Gran Bretagna e l'11 dicembre 1941 agli Stati Uniti d'America era l'inizio della fase di armistizio, necessaria premessa per un Trattato di Pace, che sarà firmato a Parigi il 10 febbraio 1947.

Giampaolo Pansa, ne Il sangue dei vinti[24], stima in circa 20 000 il numero di persone (militari e civili) aventi un ruolo nella RSI fucilate dopo processi sommari dai forze partigiane nei mesi successivi al 25 aprile 1945, a guerra ufficialmente conclusa. I registri ufficiali riportano un numero totale di 9.237.



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"Repubblicani" o "repubblichini"? [modifica]

Il termine "repubblichino" é utilizzato per indicare dirigenti, membri dell'esercito, sostenitori e seguaci della Repubblica Sociale Italiana.

Tale termine é stato coniato il 15 aprile 1793 da Vittorio Alfieri in una lettera a Mario Bianchi, per definire con intento spregiativo tutti i repubblicani fautori della rivoluzione francese:[25]

  « Che belle fughe che han fatto i nostri repubblichini dal 1º marzo fino al 26! »
   

Riesumato nel 1943 da Umberto Calosso in una trasmissione di radio Londra, dopo la nascita della Repubblica Italiana l'uso del termine «repubblichino» si radicò ampiamente nella storiografia e nella pubblicistica del nostro Paese, anche per evitare confusione con «repubblicano» in riferimento alla nuova forma statuale dell'Italia post-bellica. Tale termine, per il senso spregiativo in genere attribuitogli, viene però da taluni considerato offensivo.

Gli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana, proclamata dai fascisti a seguito di quella che essi ritenevano la fuga da Roma del re Vittorio Emanuele III capo supremo delle Forze Armate Italiane[26][27] e di suo figlio Umberto II, utilizzavano, invece, l'aggettivo «repubblicano» (ad esempio nelle denominazioni ufficiali del nuovo partito fascista e dei corpi militari della RSI).
Tuttavia, tale termine non era nuovo nell'ambito politico italiano: anche durante la guerra continuava ad essere utilizzato dal Partito Repubblicano Italiano, un movimento antifascista di origine risorgimentale, all'epoca schierato a sinistra, che puntava ad abolire la monarchia sabauda instaurando in Italia una Repubblica democratica.

Gli antifascisti, specie se di posizioni repubblicane (come i comunisti, i socialisti e gli azionisti), che nel frattempo avevano creato il Comitato di Liberazione Nazionale nel così detto Regno del Sud[28], si rifiutavano di chiamare «repubblicano» il regime politico instaurato al Nord, ritenendo il «governo di Salò» una mera entità collaborazionista con l'invasore nazista.

Note [modifica]

  1. ^ Patto commerciale in data 30 gennaio 1944.
  2. ^ "Il Consiglio dei Ministri ha poi deciso che dal 1 dicembre 1943 lo Stato nazionale repubblicano prenda il nome definitivo di "Repubblica Sociale Italiana".|Verbale del IV Consiglio dei Ministri dello Stato Nazionale Repubblicano del 24 novembre 1943 pubblicati come: Anonimo, Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana settembre 1943 - aprile 1945, Archivio di Stato, Roma (2002) - Vol. I, pag. da 76 a 162.
  3. ^ la cittadina di Salò non era, in realtà, né la capitale de facto né la città-sede del capo dello Stato e del governo. Probabilmente, la diffusione della dizione Repubblica di Salò è data, da un lato, dal fatto che la città ospitasse il ministero della Cultura popolare e quello degli esteri e che, quindi, la maggior parte dei dispacci ufficiali partissero con l'intestazione Salò comunica... e, dall'altro lato, dalla scarsa disponibilità della pubblicistica antifascista, come Radio Londra, ad attribuire alla Repubblica mussoliniana i caratteri di Sociale e di Italiana.
  4. ^ Le fonti per la storia della RSI. di Luigi Ganapini, Marco Turchi, Simonetta Bartolini, Aldo Giannulli, Giuseppe Parlato. A cura di Aldo G. Ricci. Editore Marsilio. Pagine 95. Edizione 8ª. Anno 2003
  5. ^ Arrigo Petacco, "La Seconda Guerra Mondiale", Curcio editore.
  6. ^ L'ambasciatore manciù giunse sul Benaco il 1° giugno 1944, quando presentò le credenziali al duce. Tratto dall'opera di Petacco di cui sopra.
  7. ^ Diego Meldi, La Repubblica di Salò, pag. 9: «Erano ormai passate le ore 2 del 25 luglio allorché si passò alla votazione degli O.d.G. Quello di Grandi venne approvato con 19 sì, 7 no e 1 astenuto (Giacomo Suardo che ritirò la sua firma). Farinacci, il 28° membro, votò il proprio O.d.G.»
  8. ^ La sede del Ministero degli Esteri era Villa Simonini, Sottosegretario facente funzioni era Serafino Mazzolini
  9. ^ Trasferitasi definitivamente con l'ultimo ministro Tarchi
  10. ^ Documenti diplomatici tedeschi Serie E VI n.311
  11. ^ Gazzetta Ufficiale del Litorale Adriatico n.1 del 15 ottobre 1943
  12. ^ Franco Filanci. Trieste, tra alleati e pretendenti, ediz. Poste Italiane - Museo Postale dicembre 1995"
  13. ^ Parte delle opere rubate vennero recuperate dopo la guerra, in particolare grazie all'opera di Rodolfo Siviero, altre andarono perse o inglobate nel bottino di guerra raccolto dell'Armata rossa in Germania e mai reso agli originali proprietari
  14. ^ Liliana Picciotto Fargion. Il libro della Memoria
  15. ^ il prestito Farini. URL consultato il 19-11-2008.
  16. ^ Silvio Bertoldi. Salò - Vita e morte della Repubblica Sociale Italiana
  17. ^ Il manuale delle guardie nere, Edizioni Reprint.
  18. ^ Secondo Diego Meldi, La Repubblica di Salò, Santarcangelo di Romagna, Casini Editore, 2008. ISBN 978-88-6410-001-2, pag. 39, «non avrebbero superato quota 558 000». Invece, «Secondo alcune fonti della RSI [...] l'Esercito (senza la GNR) avrebbero contato 780 000 uomini, però includendo circa 260 000 lavoratori militarizzati».
  19. ^ a b c d Diego Meldi, La Repubblica di Salò, Santarcangelo di Romagna, Casini Editore, 2008. ISBN 978-88-6410-001-2.
  20. ^ Giorgio Pisanò, "Gli ultimi in grigioverde", CDL Edizioni, Milano, pag. 1452 "L'ultima azione del Gruppo venne compiuta al largo di Rimini il 5 gennaio 45 e si concluse con l'affondamento di un piroscafo da carico di 5000 tonnellate."
  21. ^ Luciano Garibaldi, "Le soldatesse di Mussolini. Memoriale inedito di Piera Gatteschi Fondelli", Mursia, Milano, 1995
  22. ^ Nino Arena, "R.S.I. Forze Armate della Repubblica Sociale - La guerra in Italia 1944 - Volume II", Ermanno Albertelli Editore, Parma, 2000 - nel Capitolo 10 a pagina 374 menziona la presenza di marinai italiani aggregati alla M.A.A. 280 - Marine Artillerie Abteilung 280 (280º Gruppo di Artiglieria Navale tedesco) a Saint Nazaire, mentre a pagina 376 menziona la presenza di altri 111 italiani della ex 1ª Divisione Fanteria di Marina "Atlantica" di stanza a Saint Nazaire.
  23. ^ Giuseppe Rocco, "L'organizzazione militare della RSI - Sul inire della Seconda Guerra Mondiale", Greco & Greco Editori S.r.l., Milano, 1998 - a pagina 79 menziona menziona la presenza di marinai italiani aggregati alla Fortezza del Vallo Atlantico "Gironde Mündung Süd" a Pointe de Grave.
  24. ^ Sperling & Kupfer Editore, Milano, 2006
  25. ^ Nuova enciclopedia universale Rizzoli Larousse; Vol. XVI, pag 689.
  26. ^ Art. 5 dello Statuto Albertino.
  27. ^ Il proclama del Sovrano
    Sua Maestà il Re e Imperatore ha rivolto agli italiani
    il seguente proclama:
    Italiani,
    Assumo da oggi il comando di tutte le Forze
    Armate. Nell’ora solenne che incombe sui destini
    della Patria ognuno riprenda il suo posto di do-
    vere, di fede e di combattimento: nessuna devia-
    zione deve essere tollerata, nessuna recriminazione
    può essere consentita.
    Ogni italiano s'inchini dinanzi alle gravi ferite
    che hanno lacerato il sacro suolo della Patria.
    L'Italia, per il valore delle sue Forze Armate,
    per la decisa volontà di tutti i cittadini, ritroverà
    nel rispetto delle istituzioni che ne hanno sempre
    confortata l'ascesa, la via della riscossa.
    Italiani,
    sono oggi più che mai indissolubilmente unito a voi
    dalla incrollabile fede nell'immortalità della Patria.
    Firmato: VITTORIO EMANUELE
    Controfirmato: BADOGLIO (Proclama di re Vittorio Emanuele III pubblicato sul Corriere della Sera del 26 luglio 1943)
  28. ^ Com'è talvolta indicato il Regno d'Italia nel periodo compreso tra il 10 settembre 1943 ed il 4 giugno 1944 data della liberazione di Roma.

Bibliografia [modifica]

  • Nicola Cospito, Hans Werner Neulen; Salò-Berlino: l'alleanza difficile. La Repubblica Sociale Italiana nei documenti segreti del Terzo Reich. Milano, Mursia, 1992, ISBN 9788842512851
  • Riccardo Lazzeri, Economia e finanza nella Repubblica Sociale Italiana 1943-1945, Milano, Terziaria, 1998. ISBN 88-86818-26-2
  • Diego Meldi, La Repubblica di Salò, Santarcangelo di Romagna, Casini Editore, 2008. ISBN 978-88-6410-001-2
  • Gianni Scipione Rossi, Serafino Mazzolini. Mussolini e il diplomatico. La vita e i diari di Serafino Mazzolini, un monarchico a Salò. Rubbettino, 2005, ISBN 9788849812084
  • Marino Viganò. Il ministero degli affari esteri e le relazioni internazionali della Repubblica Sociale Italiana (1943-1945). Milano, Jaca Book, 1991, ISBN 9788816950818

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