Durante la seconda guerra mondiale l'Italia andava inesorabilmente incontro ad una schiacciante sconfitta militare, mentre per sostenere lo sforzo bellico il Paese andava sempre più impoverendosi. In calo di consenso ed in pieno dramma, furono a molti livelli cercate soluzioni per uscire dalla crisi.
Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo, organismo costituzionale e direttorio politico del PNF, con l'Ordine del giorno Grandi[7] aveva invitato Mussolini
| « a pregare la Maestà del Re [...] affinché Egli voglia, per l'onore e la salvezza della Patria, assumere - con l'effettivo comando delle Forze Armate [...] - quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state [...] il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia. » |
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Nell'approvazione dell'ordine del giorno c'era stato il voto, se non decisivo almeno assai significativo, di Galeazzo Ciano, ex-Ministro degli Esteri e genero del Duce, e di Dino Grandi, il raffinato intellettuale e diplomatico che aveva rappresentato nel mondo il prestigio dell'Italia fascista.
Nel pomeriggio dello stesso 25 luglio Mussolini era stato ricevuto dal Re nella sua residenza di Villa Ada. Dopo un breve colloquio (il cui contenuto è sempre rimasto misterioso), che si era concluso con la richiesta delle dimissioni da Capo del Governo, Mussolini fu arrestato e condotto, con una ambulanza della Croce Rossa, alla caserma della Legione Allievi Carabinieri di via Legnano, a Roma-Prati, dove dormì tre notti.
Non fu condotto nella sua residenza di Rocca delle Caminate, come egli stesso sperava, ma dal 28 luglio fu imbarcato a Gaeta sulla corvetta Persefone e trasferito prima a Ventotene e poi sull'isola di Ponza, e dal 7 agosto, con la corvetta Pantera, sull'isola della Maddalena e infine dal 28 agosto ai piedi del Gran Sasso per poi salire il 3 settembre a Campo Imperatore dove restò, controllato da 250 carabinieri e guardie di Pubblica Sicurezza, sino alla liberazione da parte di un reparto di paracadutisti tedeschi.
Al posto di Mussolini il Re aveva nominato Pietro Badoglio il quale subito aveva sedato l'euforia popolare e spente le speranze di pace, eventualmente connesse alla caduta del capo del fascismo, con il famoso proclama radiofonico caratterizzato dall'impegno: "La guerra continua".
Dopo lunghe trattative, l'8 settembre si giunse alla proclamazione dell'armistizio di Cassibile con gli Alleati (già firmato il 3 settembre). Ne seguì un generale sbandamento, durante il quale la famiglia reale fuggì da Roma insieme a Badoglio, rifugiandosi a Brindisi. Le autorità e i dirigenti dello stato, compresi (e forse soprattutto) gli stati maggiori delle forze armate, si smembrarono, scomparvero, si resero irreperibili, mentre le truppe tedesche prendevano il controllo del paese (operazione Achse)
La penisola restava divisa in due, occupata dalle forze alleate al sud e dalle forze tedesche al centro nord, con Roma, che nel 1944 sarà dichiarata «città aperta», quando repubblichini e tedeschi fuggiranno pressati dagli alleati e il solo Pontefice rimarrà a rappresentarvi una qualche autorità.
Dal Gran Sasso al lago di Garda, passando per la Germania [modifica]
La liberazione del duce era stata minuziosamente organizzata dai tedeschi, fortemente voluta da Hitler (anche per motivi di personale affezione), e venne realizzata il 12 settembre da un plotone di truppe scelte guidate da Kurt Student, Harald Otto Mors e dal maggiore Otto Skorzeny, che dopo aver preso possesso dei luoghi e scarcerato il prigioniero, lo condusse a Monaco di Baviera; qui il deposto dittatore discusse della situazione del nord Italia diverse volte con Hitler, accettando le imposizioni di quest'ultimo riguardo alla creazione di un governo fascista al nord. Mussolini in seguito si mise subito al lavoro per riorganizzare il partito fascista, che nel frattempo s'era dissolto sotto il peso degli avvenimenti, e la MVSN.
Rimessa mano al programma dei Fasci italiani di combattimento del 1919, enfatizzandone alcuni contenuti affini a quelli dei movimenti repubblicano e socialista, il 17 settembre Mussolini proclamò attraverso Radio Monaco (un'emittente captata in buona parte dell'Italia settentrionale) la prossima costituzione del nuovo stato fascista. Questa sarebbe stata formalizzata il giorno 23 ed il 27 il neonato governo si insediò a Salò, sul Lago di Garda. Ecco alcune citazioni da suoi discorsi in merito:
| « Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso più lato della parola: sarà cioè fascista nel senso delle nostre origini. » |
| (Benito Mussolini, dal discorso di Radio Monaco del 18 settembre 1943.) |
Qui ebbero sede il ministero degli esteri, il ministero della cultura popolare, la direzione generale della Pubblica Sicurezza e l'Agenzia di stampa Stefani. Gli altri uffici governativi, con un necessario decentramento amministrativo furono distribuiti fra le località delle vicinanze.
Il circondario non era solo di grande bellezza paesaggistica, ma era anche strategicamente assai importante: oltre alla vicinanza con le fabbriche d'armi (ad esempio a Gardone Val Trompia, ove avevano sede la Beretta e altre fabbriche minori) e con le industrie siderurgiche (che continuarono a produrre per i nazi-fascisti), vantava prossimità a Milano tanto quanta ne aveva per la frontiera tedesca ed oltre ad essere riparato dall'arco alpino risultava equidistante dalla Francia e dall'Adriatico. Era nel cuore dell'ultima parte dell'Italia ancora in grado di svolgere la produzione e dunque capace di creare merci da poter vendere, ancorché sottoprezzo e soltanto alla Germania.
Il governo della RSI [modifica]
La Repubblica Sociale Italiana ebbe un governo de facto, ovvero un esecutivo che operava in mancanza di una Costituzione (che pur essendo stata redatta non venne mai discussa e approvata): tale organo, pur sembrando possedere tutte le prerogative essenziali per essere considerato sovrano dalla popolazione: potere legislativo, autorità sul territorio, esclusività della moneta e disponibilità di forze armate, furono esercitate - appunto - de facto ma non de jure.
Benito Mussolini fu - sia pure mai proclamato - capo della Repubblica (così il Manifesto di Verona definiva la figura del capo dello Stato), capo del Governo e ministro degli Esteri. Il Partito Fascista Repubblicano (PFR) fu retto da Alessandro Pavolini.
Erede di ciò che rimaneva al nord della MVSN, dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia dell'Africa Italiana, fu creata la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) con compiti di polizia giudiziaria e di polizia militare e posta sotto il comando di Renato Ricci.
Il 13 ottobre 1943 fu annunciata l'imminente convocazione di un'Assemblea Costituente che avrebbe dovuto redigere una Carta costituzionale nella quale la sovranità sarebbe stata attribuita al popolo. Dopo la prima assemblea nazionale del PFR, svoltasi a Verona il 14 novembre 1943, questo annuncio fu annullato da Mussolini avendo deciso di convocare detta Assemblea Costituente a guerra conclusa.
Le sedi delle istituzioni della RSI [modifica]
Villa Simonini, sede del Ministero degli Esteri della RSI.
Lo stato occulto [modifica]
1944, vicino a Milano un soldato tedesco controlla i documenti di un civile italiano
Roma (1943), di fronte a
Palazzo Venezia soldati tedeschi mostrano un dipinto in corso di trafugamento in Germania
La RSI fu in realtà un ente del tutto dipendente dal Terzo Reich nella sua costituzione e durante la sua sopravvivenza, e lo sarebbe stato anche nei suoi destini.
Voluto dal Terzo Reich come apparato per amministrare i territori occupati del Nord e Centro Italia, lo stato della RSI era in realtà una struttura burocratica dotata di scarso potere autonomo effettivo. Il vero governo si nascondeva fra le sue pieghe, nella forma di quei meccanismi di cui la Germania lo aveva sin dall'origine dotato per non rischiare di perderne il controllo a somiglianza di quanto aveva già fatto negli altri stati europei occupati dalla truppe tedesche nei primi anni di guerra.
L'intero apparato della Repubblica di Salò era infatti pesantemente controllato dai militari tedeschi, nel timore di un "tradimento" da parte degli italiani, dopo quello che secondo loro era stato consumato con l'armistizio dell'8 settembre; alla Repubblica Sociale fu permesso di avere un esercito composto esclusivamente da reclute addestrate in Germania. Il volontariato fascista e la militarizzazione di organizzazioni esistenti dotarono la RSI di forze armate non numericamente insignificanti (circa 600 000 persone sotto le armi), ma queste furono impiegate, a volte anche contro il loro desiderio, soprattutto in operazioni di repressione, sterminio e rappresaglia contro i partigiani e le popolazioni accusate di offrire loro supporto.
Unità della X Mas parteciparono comunque ai combattimenti contro gli Alleati ad Anzio, in Toscana e più tardi sul Senio, e le divisioni alpine addestrate in Germania si batterono sul fronte toscano, mentre qualche minimo contributo alle operazioni militari contro gli Alleati si registrò anche da parte della Marina Nazionale Repubblicana e dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana. L'apporto della RSI alle operazioni rivolte direttamente contro le forze degli Alleati rimase comunque marginale se non puramente simbolico.
L'integrità territoriale della Rsi non fu rispettata dai tedeschi. Il 10 settembre del 1943, Hitler concesse ai Gauleiter del Tirolo e della Carinzia di annettersi molte zone del Triveneto mascherando il tutto dietro la "facciata" di due zone di Operazioni delle Prealpi (province di Trento, Bolzano e Belluno) e del Litorale Adriatico. (province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, Lubiana). Questo era dettato dal desiderio di riappropriarsi dei territori storicamente legati all'impero Asburgico, e Hitler decise che i commissari civili in queste zone avrebbero risposto direttamente a lui. Vennero allo scopo nominati dei commissari che secondo Hitler "riceveranno da me le indicazioni fondamentali per la loro attività" [10]
L'1 ottobre il Gauleiter della Carinzia prendeva per decreto con valore retroattivo al 29 settembre il controllo militare e civile [11] [12].
Durante l'occupazione nazista numerose opere d'arte, quali dipinti e sculture, vennero trafugate dalle loro sedi italiane e trasferite in Germania: a tale scopo Hermann Goering istituì un apposito corpo militare nazista chiamato Kunstschutz (protezione artistica) [13]
La persecuzione degli ebrei [modifica]
La situazione degli ebrei italiani, già resa difficile e precaria dalle leggi razziali fasciste, subì un ulteriore peggioramento con la Repubblica Sociale. Il Manifesto di Verona stabilì all'articolo 7: «Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica».
Eccone un commento:
| « Affermazione gravissima ed aberrante moralmente e storicamente, ma che - a ben vedere - non aggiungeva nulla di nuovo alla posizione che, come abbiamo dimostrato, Mussolini e Buffarini-Guidi erano andati prendendo negli anni precedenti (...). L'intenzione di Mussolini e dei "moderati" era senza dubbio di concentrare sino alla fine della guerra tutti gli ebrei (...) e di rinviare la soluzione a guerra finita (...). L'assurdità della soluzione adottata è evidente: per qualsiasi persona di buon senso non poteva infatti esservi dubbio che (...) concentrare gli ebrei volesse in pratica dire permettere ai nazisti di impadronirsene quando volevano e, quindi, di sterminarli. (...) Anche in questo aspetto particolare si rileva dunque la insostenibilità della RSI o meglio di coloro che dandole vita e aderendovi ritennero non solo di salvare l' "onore" italiano, ma di poter così operare per la tutela di alcuni interessi italiani (...). Ciò che in questo senso essi poterono ottenere non giustifica certo, anche nei più onesti, l'essersi messi in pratica al servizio dei nazisti e l'aver in tal modo avallato il loro regime di terrore » |
| ( Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, pp.446-447) |
L'instaurazione della Repubblica Sociale Italiana sotto diretta tutela della Germania fu l'inizio della caccia all'ebreo anche in territorio italiano, cui contribuirono attivamente gli apparati della Repubblica Sociale. Secondo Liliana Picciotto Fargion, risulta che del totale degli ebrei italiani deportati, il 35,49% venne catturato da funzionari o militari italiani della Repubblica Sociale Italiana, il 4,44% da tedeschi ed italiani insieme e il 35,49% solo da tedeschi (il dato è ignoto per il 32,99% degli arrestati)[14].
Fra le retate completamente organizzate ed eseguite da italiani della RSI assume particolare rilievo il rastrellamento di Venezia del 5-6 dicembre 1943: 150 ebrei furono arrestati in una sola notte. La stessa triste vicenda del rastrellamento e della deportazione degli ebrei romani (effettuata dai tedeschi sotto il comando di Herbert Kappler) vide l'attiva collaborazione delle autorità della Repubblica Sociale Italiana, in primis nella persona del capo dell'Ufficio Razza presso la Questura di Roma, Gennaro Cappa.
Fu il il segretario di stato Giovanni Preziosi ad insistere perché venisse approvata una legge della R.S.I. contro gli ebrei. Preziosi era convinto che ovunque massoni e antifascisti complottassero contro il regime; nei primi anni del fascismo viene fatto allontanare per le sue tendenze "deliranti", ma piace molto ad Alfred Rosenberg, teorico del nazismo. Così Mussolini, per volontà dei tedeschi, gli conferisce una carica all'interno della Repubblica (aprile 1944)): l'Ispettorato della Razza. Ma Alessandro Pavolini propone una legge di assai difficile applicazione: "sono da considerarsi perseguibili tutti coloro che non riescano a dimostrare, mediante specifici documenti, di avere una discendenza ariana pura a partire dal 1800". L'evidente difficoltà di documentare in questo modo la propria discendenza avrebbe creato seri problemi agli stessi membri del governo, oltre che a tutte quelle persone che non possedevano documenti sufficienti; tuttavia Mussolini la approva, seppur modificandola in qualche suo punto. Il ministro dell'Interno Guido Buffarini-Guidi decide allora di avvisare preventivamente gli ebrei italiani pubblicando la legge su un giornale due giorni prima della sua approvazione e messa in pratica. Decide, poi, di far costruire campi di concentramento in Italia, tra i quali quelli presso la Risiera di San Sabba (Trieste), Fossoli e Novara.
Non di meno, il sistema concentrazionario italiano si dimostrò tragicamente efficiente. Quasi trecento ebrei trovano la morte tra le mura dei Lager costruiti sulla penisola, e a quasi tutte le famiglie dei deportati furono confiscati i beni.
Finanze e moneta [modifica]
Il Palazzo della Banca d'Italia a Milano.
Francobollo da 25 centesimi di lira della Repubblica Sociale Italiana, raffigurante i
Fratelli Bandiera.
Ministro delle finanze del nuovo governo fascista fu nominato il professor Domenico Pellegrini Giampietro, insegnante di diritto costituzionale presso l'Ateneo di Napoli. Suo compito principale, per l'intera durata del suo incarico, sarebbe stato quello di difendere le casse del nuovo stato dalle pretese tedesche e trovare una soluzione per la situazione che il comportamento delle truppe naziste d'occupazione aveva creato.
Armi alla mano, le SS di Herbert Kappler avevano rapinato a Roma le riserve della Banca d'Italia il 16 ottobre 1943, facendo un bottino di circa tre miliardi di lire (due miliardi in oro e un miliardo in valuta pregiata). Il tutto era stato trasferito a Milano. A questa somma si dovevano sommare molti altri milioni, prelevati dalle altre banche pubbliche e private. L'economia rischiava un disastro per motivi legati all'inflazione, a causa della moneta d'occupazione, una sorta di carta straccia denominata Reichskredit Kassenscheine, controparte delle Am-Lire. A queste manovre si aggiunsero le pretese tedesche di ottenere che la nuova repubblica "pagasse" la guerra che la Germania conduceva in sua vece da quando era stato firmato l'Armistizio. Fin dai primi giorni dopo la sua costituzione, il governo della RSI si preoccupò di riprendere saldamente il controllo dell'economia, per salvaguardare il potere d'acquisto della moneta ed evitare fenomeni inflazionistici.
Il ministro delle Finanze Domenico Pellegrini Giampietro appena insediato dovette occuparsi di un serio problema. I tedeschi, nei giorni immediatamente successivi all'8 settembre, avevano messo in circolazione dei marchi di occupazione. Ciò avrebbe potuto innescare dei processi inflattivi, per cui il problema andava rapidamente risolto: il 25 ottobre 1943 viene stipulato l'accordo monetario tra Germania e RSI, in forza del quale i marchi di occupazione non avevano più valore e pertanto vennero ritirati.
I provvedimenti a sostegno dell'attività agricola furono numerosi ed efficaci: il raccolto del grano dell'anno 1945 fu uno dei maggiori d'Italia.[senza fonte]
Il 2 aprile 1944 il Comune di Milano, guidato dal podestà Piero Parini, per risanare le esauste casse comunali, lanciò una sottoscrizione per un prestito pubblico denominata “Città di Milano” ma, ancora oggi, ricordato in Milano come “prestito Parini”. La somma stabilita di 1 miliardo di lire fu rapidamente coperta con il concorso popolare e il Comune di Milano incassò 1 056 000 000[15].
Le spese complessive della Repubblica Sociale, come dichiarato dallo stesso Pellegrini nell'articolo L'Oro di Salò[16] si possono suddividere come segue:
Voce | Miliardi di lire |
Spese ordinarie e straordinarie della Repubblica | 170,6 |
Spese di guerra (contributi pagati al Terzo reich) | 189,0 |
Totale spese | 359,6 |
Entrate ordinarie | 50,4 |
Risultato economico netto | − 309,2 |
Operazioni straordinarie | |
depositi e conti correnti presso enti e istituzioni pubbliche | 47,0 |
Buoni del tesoro | 74,3 |
Anticipazioni della Banca d'Italia | 183,0 |
Anticipazioni da altri istituti di credito | 25,2 |
Totale entrate | 380,5 |
Risultato finanziario netto | 20,9 |
Come si può vedere, a causa delle ingentissime spese di guerra (contributi pagati all'esercito germanico e spese per le riparazioni dei danni causati dai bombardamenti indiscriminati sulle città) il bilancio (il conto economico) si chiuse con un passivo di circa 300 miliardi di lire compensato da operazioni finanziarie straordinarie che portarono a chiudere il risultato del 1944 con un leggero avanzo di 20,9 miliardi di lire. Nella Repubblica Sociale la direzione delle cose militari era di competenza dell'alto comando tedesco, meno vincolata era l'amministrazione civile essendo formalmente sotto il controllo di Mussolini. Invece, nel regno del sud, tutti i provvedimenti dovevano essere approvato dal governatore militare alleato. Ad esempio la legge sulla socializzazione delle imprese non fu gradita all'alto comando tedesco.[senza fonte] D'altra parte anche in campo militare si sono dati casi in cui i militari della RSI non erano poi così totalmente sottomessi ai comandi germanici. [senza fonte]
L'armata "Liguria", ad esempio, che comprendeva, oltre alle quattro divisioni della RSI ("Monterosa, Littorio, San Marco, Italia) anche divisioni tedesche, era sotto il comando del generale Rodolfo Graziani. E un settore della linea Gotica occidentale (fronte della Garfagnana) era retto esclusivamente da truppe italiane comandate dal generale Mario Carloni.
La socializzazione dell'economia [modifica]
| « I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero "di sinistra"; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un'alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio » |
| (Benito Mussolini, Milano, 22 aprile 1945 [17]) |
Già nel Manifesto di Verona (il cui testo fu elaborato da Angelo Tarchi, Alessandro Pavolini, Nicola Bombacci, l'avv. Manlio Sargenti, sotto la supervisione di Benito Mussolini) erano presenti riferimenti d'ispirazione socialista alla gestione statale delle aziende di rilevanza bellica ed alla ripartizione degli utili fra gli azionisti e i lavoratori. Questi accenni alla socializzazione avevano scatenato le proteste di qualcuno, preoccupato che vi si nascondessero tendenze di tipo collettivistico.
Mussolini, che al congresso era tra quelli che avevano espresso la loro perplessità, era consapevole della portata che poteva avere la socializzazione delle attività economiche, con l'introduzione del lavoro nella gestione dell'impresa, limitando così il potere del capitale, e sperava di riportare il proletariato industriale fra i sostenitori attivi del fascismo.
Inoltre, da una parte sarebbe stata una sapida vendetta nei confronti della borghesia, alla quale aveva lasciato una cospicua libertà di manovra durante il Ventennio trascorso dalla sua ascesa al potere, e dalla quale si sentiva tradito e vilipeso; dall'altra poteva essere anche una rivalsa nei confronti dei tedeschi e della loro economia di rapina, basata sulla requisizione delle materie prime quanto dei prodotti finiti. Non mancava, in questo programma, una componente nostalgica, un desiderio di ritorno al fascismo "delle origini", antiborghese ed antimoderno, ed alle sue teorie sulle società organiche e sulla collaborazione fra capitale e lavoro - teorie, queste, presenti anche in molti movimenti stranieri affini al fascismo.
La manovra per applicare la socializzazione ebbe il suo punto di partenza nel decreto di nomina dell'ingegner Angelo Tarchi a ministro dell' economia corporativa. Tarchi avrebbe voluto i suoi uffici a Milano, come li aveva il generale Leyers (sovrintendente della produzione industriale italiana per conto del ministero degli armamenti del Reich), avrebbe ambito a che il suo ministero si trovasse nel cuore di quel sistema industriale che era il principale bersaglio della socializzazione. Fu invece mandato a Bergamo.
Per l'11 gennaio 1944 il programma sintetico della socializzazione era pronto. Seguirono altri documenti, il più importante dei quali fu un decreto (Decreto Legge sulla Socializzazione) approvato il 12 febbraio 1944, in quarantacinque articoli, che definì con maggiore precisione la desiderata nuova forma dell'economia di Salò, nella quale sarebbero stati fondamentali i seguenti istituti:
- possibilità, per le aziende che estraevano materie prime, producevano energia o che erano impegnate in altri settori importanti per l'indipendenza dello stato, di essere acquisite alla proprietà di quest'ultimo;
- consigli di gestione che deliberassero sull'organizzazione della produzione e la ripartizione degli utili;
- consigli di amministrazione formati da rappresentanti degli azionisti e dei lavoratori;
- responsabilità personale dei dirigenti d'impresa di fronte allo stato;
- nuove regole sulle nomine dei sindacalisti, dei commissari governativi e sui compiti di un nuovo ente pubblico, l'Istituto di gestione finanziamento.
Le reazioni al decreto furono quelle che chiunque avrebbe potuto prevedere: gli industriali italiani erano naturalmente, fisiologicamente ostili a una riforma così vasta e così drastica che avrebbe sensibilmente ridotto il loro enorme potere - ma non lo diedero a vedere ed a parole sostennero invece l'utilità del programma. Le autorità tedesche, civili e militari, videro nella riforma un possibile intralcio alle loro requisizioni (il mutamento di assetto poteva provocare riduzioni nelle quantità prodotte) e protestarono ufficialmente, riservandosi la facoltà di impedire l'applicazione del decreto.
La risposta più sincera, ed anche più forte, provenne dal mondo del lavoro: dal 1º marzo gli operai (compresi, al gran completo, quelli della Fiat) entrarono in sciopero. Le ragioni della protesta erano molte - gli scarsi salari, le pessime condizioni di vita, l'umiliazione di dover lavorare sotto la minaccia delle armi tedesche - ma lo sciopero fu anche una reazione a quel programma di socializzazione che gli operai, tra i quali vi erano molti agenti di indottrinamento del PCI che tentavano di preparare il campo per quello che sarebbe stato il dopoguerra. Lo sciopero si esaurì da sé nel giro di una settimana, senza ritorsioni da parte dei tedeschi, anche se Hitler, per rappresaglia, avrebbe voluto far deportare in Germania il 20% degli operai.
Una settimana di produzione industriale ridotta agli sgoccioli rese gli occupanti ancora più ostili al progetto di Mussolini e la socializzazione, rifiutata dai lavoratori quanto dai capitalisti, finì per essere applicata solo da poche aziende di nessuna importanza per la produzione bellica.
Per ironia della sorte la realizzazione integrale della socializzazione era prevista per il 25 aprile 1945: il primo atto politico del CLNAI dopo la liberazione fu l' abrogazione del decreto legge sulla socializzazione.
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