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Warshow. La guerra mediatica

Ultimo Aggiornamento: 30/05/2010 05:01
30/05/2010 04:36
 
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Warshow. La guerra mediatica

 

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PARTE PRIMA: I MEDIA ALLA GUERRA

1. L’INFORMAZIONE IN GUERRA 

1.1. Ruolo dei media dalla guerra alla pace

1.2. In guerra con i media

1.3. Costruzione di storia attraverso i media

1.4. Vietnam punto di non ritorno

1.5. Cosa è cambiato dopo il Vietnam

 2. INFORMARSI DAL SALOTTO DI CASA

2.1. Tv: l’illusione della verità

2.2. La spettacolarizzazione della guerra

2.3. Lo scetticismo dei telespettatori

2.4. La videopolitica

2.5. La Cnnwar

 PARTE SECONDA: INFORMAZIONE, RETORICA E GUERRA UMANITARIA

 3. IL NUOVO UMANTIRISMO E LA NUOVA RETORICA DI GUERRA

3.1. Obbiettivo primo: conquistare il consenso popolare

3.2. Giusta causa: necessità comunicativa

3.3. Il nuovo volto della guerra

3.4. Campo di battaglia e campo dei media: due guerre parallele

 4) NATO COMUNICATRICE IMPERFETTA: UNO SGUARDO DIETRO LE QUINTE           

4.1. Il Nato pensiero e lo stratega mediatico

4.2. Disinformazione: una precisa strategia

4.3. Il ruolo delle agenzie di Pubbliche relazioni

4.4. La Nato e il diritto internazionale

 CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

 

 

INTRODUZIONE

 La storia ci racconta come la guerra abbia inevitabilmente bisogno dei mass media. Da sempre, nelle situazioni di crisi, di conflitti o guerra, la disinformazione e la propaganda sono state armi ampiamente utilizzate.

Di false informazioni utilizzate per vincere una guerra è piena la storia: dal cavallo di Troia alla notizia non vera della partenza della flotta greca utilizzata dall’ateniese Temistocle per vincere contro Serse, alla finta ritirata di Napoleone ad Austerlitz, diffusa mediante falsi messaggi in codice tra gli ufficiali francesi. È un classico della strategia di guerra l’utilizzo – ma forse sarebbe più esatto dire la strumentalizzazione – dei mass media prima, durante e dopo il conflitto.

Vi sono però essenzialmente due grandi novità che differenziano i conflitti passati da quelli recenti e che rendono la strumentalizzazione dei mass media più subdola e pericolosa: l’innovazione tecnologica dei mezzi di comunicazione con la loro diffusione su scala planetaria e, soprattutto, la crescita di una cultura alternativa alla violenza, alla guerra, in una parola la cultura del “mai più guerre” e soprattutto del “mai più Auschwitz”. Dunque se da una parte i belligeranti hanno a disposizione mezzi di comunicazione profondamente rivoluzionati da nuove tecnologie, dall’altra essi hanno a che fare con un nuova cultura che, segnata da un secolo di follie collettive, ha maturato un forte ripudio della guerra come strumento di offesa (non è un caso che questo principio sia sancito anche  dalla nostra costituzione, all’articolo 11).

Questo significa che, rispetto al passato quando le vittime della disinformazione e della propaganda delle parti in guerra erano essenzialmente i nemici diretti, ora le vittime siamo, potenzialmente, tutti noi. L’arma della disinformazione e della propaganda non viene circoscritta al nemico, come accadeva in passato, ma viene ampiamente utilizzata nei nostri confronti, poiché il Vietnam ha insegnato che non si possono vincere le “guerre moderne” senza il sostegno dei media e dell’opinione pubblica.

 Il direttore di “Liberazione”, Sandro Curzi, ci ricorda che il padre si convinse e si mobilitò per andare a combattere la “grande guerra”, sotto la spinta di una campagna di diffamazione del popolo tedesco. Di loro i giornali raccontavano che uccidevano donne e bambini, che a quest’ultimi tagliavano le mani. Spinto da queste barbarie e volenteroso di contribuire alla giusta causa per fermare i germanici, si arruolò. Una volta in guerra e dopo avere conosciuto bambini che regolarmente “avevano le mani” e non riscontrando i segni di simili barbarie, si accorse che quella raccontata dai giornali era una montatura con lo scopo di mobilitare più forze possibili ed atto a demonizzare il nemico.

Oggi più che mai, si necessita della spinta popolare, dell’indignazione dell’opinione pubblica per aggredire una nazione e mettere in ginocchio un intero popolo. Tutte le guerre devono ricevere il “nullaosta” dell’opinione pubblica, e i paesi belligeranti devono muoversi, possibilmente, sotto la spinta ed il clamore popolare. Successe contro l’Iraq di Saddam Hussein nel 1991, quando sotto l’indignazione popolare e sotto un mandato Onu, si bombardò l’Iraq provocando danni irreparabili. L’opinione pubblica era, in linea di massima, favorevole a questa aggressione, poiché si interveniva per fermare un tiranno, un assassino. Così come in parte è oggi favorevole all’embargo fortemente voluto dagli Stati uniti e dalla Gran Bretagna e che ha seminato in dieci anni quasi un milione e mezzo di morti, di cui ottocentomila bambini.

Una delle notizie che indignò l’opinione pubblica e che servì come pretesto per giustificare l’aggressione vedeva i soldati irakeni intenti a staccare le spine delle incubatrici negli ospedali del Kuwait, per lasciare morire  a terra i neonati. Saddam Hussein e tutto il popolo irakeno furono dipinti come barbari ed assassini ed era necessario fermarli. Furono tentate tutte le vie diplomatiche, ma si sa i cattivi e i tiranni sono sordi alla voce della diplomazia, dunque l’unica via per fermare “Saddam Hitler” e salvare un popolo inerme ingiustamente aggredito (il Kuwait) da un barbaro aggressore è quello di utilizzare la forza. Furono inviate truppe “di cielo, di mare e di terra” per fermare il boia e per bloccare la quarta potenza bellica del mondo; furono utilizzate le bombe intelligenti che colpivano solo gli armamenti e le postazioni belliche del nemico.

Questa è la versione ufficiale, quella che si legge nei libri di storia, quella che i principali giornali ed emittenti televisive ci raccontavano durante il conflitto. Ma la verità è ben altra. Non fu cercata nessuna via diplomatica, non si fece nemmeno accenno alle forze irakene dissidenti, la forza militare irakena non era assolutamente la quarta potenza bellica del mondo. Ma soprattutto la storia delle incubatrici, come è stato ampiamente dimostrato, era una montatura fatta da una nota agenzia di pubbliche relazioni, al soldo degli emirati arabi. La presunta infermiera intervistata dalla televisione americana “Cnn” era la figlia dell’ambasciatore del Kuwait a Washington, studentessa negli Stati Uniti, ed il tutto era stato inventato di sana pianta da Mike Deaver, un ex addetto alle comunicazioni del presidente Reagan, in collaborazione con la ditta americana di pubbliche relazioni “Hill & Knowlton”, entrambi stipendiati dall’emirato. Le altre grandi invenzioni mediatiche furono le “bombe intelligenti” che in realtà erano solo il 7% dell’arsenale militare americano, e la presunta “precisione chirurgica” dei bombardamenti che avrebbe colpito con una precisione assoluta gli obiettivi militari ma che in realtà, il 70% delle bombe sbagliò il bersaglio (colpendo obiettivi civili compreso un asilo nido con all’interno bambini e un rifugio atomico con all’interno donne e bambini).

Sono in pochi che oggi ancora credono che gli Stati Uniti e i suoi alleati siano intervenuti in Iraq per riportare l’ordine, la pace, per aiutare un popolo. Sono ormai molti che credono che le vere ragioni che hanno scatenato la guerra non siano state quelle “ufficiali”, quelle propagandate sui principali mezzi di informazione, ma che dietro si celassero ben altre ragioni (quali il business delle armi e l’approvvigionamento del petrolio) abilmente tenute nascoste grazie alla capacità comunicativa degli ufficiali.

Lo stesso può dirsi per numerose altre guerre ed in primo luogo per l’ultimo conflitto che ha insanguinato i Balcani. Il copione seguito è stato pressoché identico se non in un particolare: la Nato è intervenuta senza il mandato dell’Onu e senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Questa aggressione è stata giustificata in nome dei valori ed in difesa dei principi umanitari. La versione ufficiale vede i buoni, la Nato capitanata dagli Usa, contro i cattivi, le truppe di “Hitlerosevic”, che stanno portando avanti una pulizia etnica paragonabile alla Shoa. La nostra cultura, quella del “mai più Auschwitz”, non poteva rimanere immobile dinnanzi ad una simile aggressione. Ancora una volta si è fatto leva sull’indignazione popolare, si sono dipinti i Serbi come barbari e stupratori che, senza pietà, uccidevano donne e bambini, che massacravano un intero popolo inerme.

Durante il conflitto mi trovavo, grazie al programma di mobilità studenti Erasmus, in Svezia, terra di immigrazione, dove ho conosciuto numerosi serbi. Grazie ad internet mi tenevo costantemente informato sull’andamento dell’aggressione; prendevo parte di tanto in tanto a qualche forum di discussione sulla legittimità o meno di quella guerra e rimanevo sbalordito dinnanzi al fatto che buona parte dei miei interlocutori erano assolutamente favorevoli alla guerra perché, a loro dire, era necessaria a fermare un Boia e le sue truppe assassine. Qualcuno addiceva addirittura a pseudo-teorie scientifiche che volevano che i serbi fossero, per loro stessa natura e formazione genetica, barbari ed assassini. Mi resi conto di quanto forte fosse stata l’arma della disinformazione e di quante vittime avesse mietuto.

Mi sconcertava il fatto che molti intellettuali (anche di sinistra) si dichiarassero a favore della guerra, paragonassero l’operato di Milosevic a quello di Hitler e le operazioni di polizia contro l’esercito dell’Uck come operazioni di “pulizia etnica”. Non ho mai capito se lo facevano per difendere l’operato del governo di centro-sinistra o perché anch’essi erano caduti nella  “rete della disinformazione”.

Anche io, (un po’ come il padre di Curzi quando incontrò bambini che “regolarmente avevano le mani”) rimasi “felicemente confuso” quando entrai in contatto con numerosi serbi fuggiti dai “bombardamenti umanitari” e mi accorsi che in fondo non erano così diversi da me e, soprattutto, non erano come i “media ufficiali” li dipingevano. L’ultima settimana della guerra umanitaria mi trovavo a Stoccolma ospite del mio amico Mladem, a casa della madre, una persona in tutto e per tutto simile a mia madre e strinsi molte amicizie con profughi serbi che hanno dovuto abbandonare la propria casa perché le bombe intelligenti e la guerra umanitaria le avevano distrutte. Non riuscivo a capire il motivo di tanto accanimento nei loro confronti, del perché i “media ufficiali” tendevano a dipingerli come barbari e assassini; non comprendevo perché anche molti illustri intellettuali si scagliavano con toni piuttosto accesi contro i pacifisti – vedi i toni di Gad Lerner o le riflessioni di Paolo Flores D’Arcais ed Adriano Sofri – e giustificavano l’operato della Nato.

Cominciai da allora a “raccogliere materiale”, a leggere libri, consultare siti internet alternativi, a raccogliere articoli di giornale. Cominciai a leggere i comunicati stampa che i portavoce dell’alleanza diramavano durante i conflitti. Nasceva così il mio lavoro di ricerca, nel tentativo di smascherare le “fandonie” e le falsificazioni storiche che hanno accompagnato un conflitto che vedeva contrapposti i diciannove stati più ricchi del mondo contro un piccolo stato martoriato da anni di guerre civile e tra i più poveri d’Europa.

L’obiettivo di questo lavoro, per quanto possibile, è quello di dipanare la matassa che avvolge i media e dimostrare, non senza un pizzico di provocazione, che l’informazione dei principali mezzi di comunicazione occidentali, erano decisamente propagandistici. Si vuole dimostrare come, potenzialmente, tutti noi possiamo essere vittime dell’arma della disinformazione e della propaganda. La Savarese acutamente afferma che la propaganda è terribilmente informativa e che, durante un conflitto, l’intelligenza e l’informazione sono pur sempre i principali strumenti di lotta.

Quale ruolo i mass media  rivestono durante un conflitto e quale ruolo giocano nella “costruzione della storia”? Cosa è la CnnWar e la videopolitica? Quanta importanza hanno le agenzie di Pubbliche Relazioni nel mobilitare e convincere l’opinione pubblica?  L’informazione in tempo di guerra è veramente obiettiva oppure è in qualche modo influenzata? Quale peso hanno le parole come “guerra umanitaria”, “bombe intelligenti”, “giusta causa”, “effetti collaterali” per il buon esito di una guerra?

Queste sono alcune domande a cui il presente lavoro cerca di rispondere.

 http://mragnedda.wordpress.com/warshow-la-guerra-mediatica/



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