...Leopardi e l'immaginario paesaggistico della poesia contemporanea ...

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Hosmantus
00venerdì 12 maggio 2006 22:31

Mafai-Roma dal Pincio


L'Infinito leopardiano rivela un nuovo sentimento del rapporto con l'ambiente circostante che informa di sé in più di un caso la rappresentazione del paesaggio nella poesia contemporanea. Sembra, infatti, di poter rilevare dalla lettura di alcuni testi poetici di Pascoli e Montale, che la famosa "siepe" leopardiana, assuma un valore emblematico informatore anche di esperienze poetiche molto più recenti.
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non mi spaura. E come il vento
odo stormir fra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio;
e il naufragar m'è dolce in questo mare.

GIACOMO LEOPARDI, L'infinito




Constable-la Cattedrale di Salisbury


Il più autorevole rappresentante della nuova coscienza fu Leopardi, il teorizzatore del concetto della natura matrigna, ovvero dell'avvenuto e irreversibile divorzio tra l'uomo e l'entità creatrice. La natura intesa come ambiente circostante, non cessa di interessare il poeta, ma è inesorabilmente messa in discussione la naturalità della vita umana, la conseguenzialità tra i bisogni dell'uomo e la possibilità che essi siano soddisfatti dalla natura. Nessuna idealizzazione è più possibile, il locus amoenus tramonta, come pure manca il locus horridus, segnale di tensione drammatica, di timore reverenziale nei confronti della natura e ricerca dei suoi reconditi messaggi, ma domina una tristezza malinconica e dolente. In effetti Leopardi, almeno in un primo momento, sembrava volersi inserire in quella tradizione bucolica che, come abbiamo visto, nata nella poesia greca e passata in quella latina, ancora viveva nella tradizione arcadica, dal momento che diede il nome di "idilli" alle proprie composizioni poetiche. Egli, però, rinnovò completamente il senso di tale denominazione: se, infatti, conserva lo sfondo paesaggistico e gli elementi della natura, propri del genere idillico, non li impiega in funzione descrittiva, ma li fonde agli altri aspetti della propria ispirazione poetica. Come osserva il Figurelli: "Mentre prima, nel '22, intendeva tradizionalmente per idillio poesia puramente descrittiva e priva affatto di passione, poi, tra il '28 e il '29, segnava tra abbozzi e appunti per opere da comporre: 'idilli esprimenti situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo', (Disegni letterari in Le Poesie e le Prose I, 205), superando, in tal modo, con l'introduzione piena del mondo affettivo, il difetto di sentimento che gli aveva fatto ritenere scarsamente poetica la poesia idillica".
Ed è proprio al Leopardi, e al suo Infinito, che affidiamo il compito di introdurre il discorso sulla rappresentazione del paesaggio nella poesia contemporanea. Sembra, infatti, di poter rilevare che la famosa "siepe" leopardiana, assuma un valore emblematico informatore anche di esperienze poetiche molto più recenti.

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