Alzheimer, dipende dall’ippocampo Possibile la diagnosi precoce

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snaplinx
00sabato 9 gennaio 2010 07:34

Alzheimer, dipende dall’ippocampo Possibile la diagnosi precoce

di Adele Sarno
La predisposizione a sviluppare la malattia inizia intorno ai 50 anni d’età, quando il soggetto subisce piccole perdite di memoria e modificazioni della struttura dell’ippocampo. La ricerca italiana può portare alla diagnosi precoce dell'Alzheimer e a rendere più efficaci le terapie cliniche attuali
Riuscire a diagnosticare precocemente l’Alzheimer è possibile. La predisposizione alla malattia inizia intorno ai 50 anni d’età, quando chi ne è soggetto sviluppa, simultaneamente, sia delle piccole perdite di memoria sia delle modificazioni della struttura dell’ippocampo, quella sezione del cervello che governa la memoria e che è coinvolta nello sviluppo dell’Alzheimer. Ad indagare il legame tra queste piccole lesioni cerebrali e i cali di attenzione, uno studio condotto dai ricercatori della Fondazione Santa Lucia di Roma e dall’Università Tor Vergata, pubblicato sulla rivista Neurology.

LO STUDIO
La ricerca ha analizzato un campione di 76 persone, tutte sane e di età compresa tra i 20 e gli 80 anni.
I partecipanti hanno inizialmente hanno eseguito dei test per la misurazione della memoria, in un secondo momento sono stati sottoposti a una risonanza magnetica. Questo esame, unito alla Diffusion tensor imaging (DTI), consentiva di avere informazioni non solo sulla struttura cerebrale ma anche sulla microstruttura e, quindi sull’integrità delle fibre nervose che collegano le varie zone del cervello. “Dall’analisi – spiega il professor Giovanni Augusto Carlesimo del dipartimento di Neuroscienze dell’Università Tor Vergata di Roma – è emerso che la predisposizione alla malattia era maggiore in chi aveva dei cali di memoria e, simultaneamente, dei cambiamenti nell’ippocampo”.

LA DIAGNOSI PREVENTIVA
“Identificare questo processo – commenta Carlesimo – consente di diagnosticare preventivamente la malattia. E quindi anche di intervenire in tempo con le moderne terapie cliniche. Oggi infatti esistono marcatori che consentono di individuare l’Alzheimer, ma i test come gli esami del liquido cerebrospinale e quelli per le alterazioni biologiche di alcune proteine, sono efficaci a diagnosticare la malattia solo quando è già conclamata”. Inoltre, DTI insieme e risonanza magnetica si sono rilevati strumenti utili a capire come e perché una persona ha cali della memoria e, in futuro, potrebbero distinguere processi di invecchiamento da quelli che coinvolgono il cervello che si ammala di Alzheimer.

GLI ALTRI STUDI

Lo studio però deve continuare. “Adesso – conclude il ricercatore – dobbiamo verificare con una nuova analisi la validità di questa metodologia ed eseguire una valutazione periodica su chi è ha partecipato all’analisi”. Non è la prima volta che si studiano le alterazioni anatomiche. Uno studio, pubblicato nel 2002 sempre su Neurology, aveva notato che il restringimento dell’ippocampo, inizia molto presto nelle persone che sviluppano il morbo di Alzheimer. Era uno studio durato 10 anni che aveva come campione 56 suore, di età compresa fra 75 e 102 anni, che avevano dato l’autorizzazione, al momento della morte, di rimuovere e studiare il loro cervello.

BY REPUBBLICA
snaplinx
00sabato 9 gennaio 2010 07:35

Alzheimer, la musicoterapia può risvegliare i ricordi

Gian Ugo Berti

La musica può giovare alle persone affette da questa grave patologia neurologica . Esiste nel cervello infatti un'area dei 'ricordi musicali'  che resta intatta nonostante la degenerazione che la malattia produce. Le esperienze dell'Università di Pisa 

PISA – Le parole di “O’sole mio”,come quelle dell’Inno di Mameli e di molte canzoni popolari non si dimenticano mai. Sono capaci perfino di superare una malattia grave come l’Alzheimer” (500 mila casi in Italia). Lo stesso si può dire della musica in genere. Se il cervello le ha sentite e memorizzate anche in un lontano passato, le ricorda. Anzi, stimolare il paziente a cantarle o ad ascoltare note e melodie conosciute può dare spesso vantaggi. E’ il parere di Michelangelo Mancuso, della Clinica Neurologica all’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, diretta dal prof. Luigi Murri.

Una cura che non costa nulla – La musicoterapia si sta dimostrando sempre più un valido supporto di cura  (non certo  di guarigione) capace di migliorare e ridurre i disturbi comportamentali. Sembra infatti rappresentare una via d’accesso privilegiata per contattare il cuore dei malati che, malgrado la forte degenerazione mentale, preservano intatte certe abilità e competenze musicali fondamentali quali l’intonazione, la tonalità ed il ritmo.

“Tu sei il mio raggio di luce” – “Rosa è una donna di 80 anni – racconta Mancuso – vive in una casa di riposo ed è affetta da demenza di Alzheimer. Quando parla usa monosillabi, appare indifferente a tutto ciò che la circonda e non è autosufficiente per i bisogni personali. Tuttavia quando riceve la visita di una musicoterapista, l’accoglie cantando “Tu sei il mio raggio di luce” e le sue parole sono chiaramente comprensibili. Il suo canto è melodioso ed è accompagnato da un’emotività espressiva” .

Fa crescere l’autostima – Attraverso l’applicazione di tecniche particolari, migliora la qualità della vita e del comportamento, anche mediante l’aumento dell’autostima e della considerazione di sé stessi, oltre a stimolare memoria e socializzazione. Durante le sedute può capitare che i pazienti ascoltino e cantino canzoni popolari, danzino o vengano coinvolti in danze semplici,  sovente con l’accompagnamento di strumenti a percussione.

Il “miracolo” di “O’sole mio” - La canzone popolare e gli strumenti musicali, unitamente al “ballo”, aiutano a rallentare i processi degenerativi e migliorano le condizioni generali.
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