Battaglia di Algeri, lo choc dell'Europa

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
vanni-merlin
00mercoledì 10 gennaio 2007 00:10
Esplodeva cinquant'anni fa il dilemma che ancora non abbiamo risolto: lecite le torture contro chi uccide innocenti?


Battaglia di Algeri, lo choc dell'Europa


Dal pugno di ferro del generale Jacques Massu ad Abu Ghraib,ritorna lo scacco della democrazia contro il terrorismoIl rovello di Camus: «Credo nella giustizia, ma non con le bombe Fra mia madre e la giustizia, preferisco mia madre»


Da Parigi Daniele Zappalà

Fu la battaglia dei «leopardi» della Decima divisione paracadutisti giunti dalla lontana Francia contro un nemico nordafricano tanto insidioso quanto sfuggente. Degli attentati dinamitardi a ripetizione nei caffè della «bianca Algeri» frequentati dai francesi pieds noirs, nati spesso in Europa e poi sbarcati nella più importante delle colonie d'Oltremare. Delle residue illusioni imperiali di Parigi, ormai a un passo dallo sbriciolamento così come, del resto, l'intera l'architettura istituzionale della Quarta Repubblica. Delle vergogne militari e civili legate alla tortura, insinuatesi col tempo oltre i filtri della censura come gocce di veleno contro l'onore della «culla dei diritti umani»: la patria della Rivoluzione ritrovatasi tragicamente, fra il gennaio e l'ottobre 1957, sul versante più scivoloso della barricata. E forse fu anche la battaglia che vide nascere una contraddizione che ancora oggi non abbiamo risolto, attualissima nel contrapporre a un male (le bombe contro gli innocenti, come ancora l'11 settembre) un altro male (la tortura, come ancora ad Abu Ghraib). Eppure sembrano istantanee di un tempo lontano, le immagini dei quartieri di Algeri tenuti col pugno di ferro dal generale plenipotenziario Jacques Massu. Negli stessi giorni in cui le botteghe commerciali della Casba restavano chiuse offrendo lo spettacolo glaciale di uno sciopero di massa muto ma dal significato eloquente: un gesto di solidarietà senza precedenti dei civili verso gli uomini del Fronte di liberazione nazionale (Fln), appostati nell'ombra attorno alla città. Sembrano scene lontane e sono invece passati esattamente solo cinquant'anni dall'inizio della Battaglia d'Algeri, considerata dagli storici come la decisiva «svolta» simbolica e psicologica della Guerra d'Algeria. E mezzo secolo non è di certo bastato per cancellare, nella coscienza dei due Paesi, le profonde ferite di quei mesi. Gli stessi in cui l'opinione pubblica francese si ritrovò spiazzata davanti a una rivolta di popol o dai contorni sempre più inequivocabili. Da un punto di vista militare, al termine di nove mesi di estenuante guerriglia a singhiozzo, i circa diecimila uomini del generale Massu riuscirono alla fine ad avere la meglio. Ma si trattò di una «vittoria di Pirro», secondo il paragone dello storico franco-algerino Benjamin Stora. Innanzitutto, l'Fln - che affidò le operazioni di sabotaggio al luogotenente nella capitale Yacef Saadi - ottenne il risultato decisivo di «far conoscere la causa dell'indipendenza algerina nel mondo intero», come ha spiegato nei giorni scorsi in un'intervista Zohra Drif, all'epoca giovanissima attivista dell'Fln e oggi vice-presidente settantenne del Consiglio algerino della Nazione (il Senato algerino). Di fatto, fu proprio nel '57 che l'Onu cominciò a prendere sul serio e ad approfondire tutti i risvolti della «questione algerina». Ma a giocare a favore dell'Fln fu ancor più la «crisi morale» - come la definisce sempre Stora - scoppiata in Francia a seguito delle prove inconfutabili dell'uso sistematico della tortura da parte dei militari francesi per reagire alla strategia terrorista del campo avverso. Furono personalità dello stesso esercito come il generale Jacques Pâris de Bollardière, grandi intellettuali come lo scrittore cattolico François Mauriac - da poco insignito del Nobel -, il filosofo Jean-Paul Sartre o lo storico Pierre Vidal-Naquet e media come il settimanale L'Express ad aprire un'autentica breccia nella coscienza nazionale. Il colpo fu duro per il governo socialista di Guy Mollet, così come per il parlamentarismo della Quarta repubblica che avrebbe conosciuto ancora pochi mesi di vita prima del passaggio alla Quinta repubblica presidenzialista nel '58. Nato e cresciuto in Algeria, lo scrittore Albert Camus aveva già lanciato nel '56 un vibrante «Appello per la tregua civile» e resterà poi a lungo paralizzato dai dilemmi posti dal mostruoso scontro fra il terrorismo dei «liberatori» e la tortura dei colonizzatori. Una fulmi nante frase dello scrittore, che si rifiutò di sostenere fino in fondo la causa dell'indipendenza algerina, riassume le contraddizioni di un'epoca: «Credo nella giustizia, ma non con le bombe. Fra mia madre e la giustizia, preferisco mia madre». Ancor oggi, nei tribunali francesi e algerini, l'uso della tortura da parte dei «leopardi» è al centro di diversi processi intentati dalle vittime. Ma la spia forse più lampante della scandalosa «attualità» di quel terribile '57 passa anche per l'Italia. La Battaglia d'Algeri, il capolavoro di Gillo Pontecorvo girato a metà degli anni Sessanta e Leone d'oro a Venezia, è rimasto a lungo proibito nella Francia pur così fiera delle proprie libertà. Il grande pubblico d'Oltralpe ha «scoperto» la pellicola in sala solo nel 2004.


da: www.avvenire.it/

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 04:13.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com