Visto che ormai siamo nell'ot selvaggio, mi preme dire una piccola cosa sull'economia fascista e annessi (mi preme da comunista, chiaro.
)
Molti intellettuali negli ultimi decenni, volendo sottolineare il più possibile gli elementi di cesura tra le idee portanti del Ventennio e quelle della Repubblica e far apparire il nuovo Stato come qualcosa di
totalmente altro dal punto di vista ideologico rispetto alla nazione fascista, sono stati sempre pronti ad minimizzare un dato di fatto molto importante.
Il fascismo
in nuce era corporativista e federativo. I ritratti idilliaci (ed inusitati per l'epoca) di fraternità e cooperazione tra l'operaio ed il professionista, il contadino ed il
rentier, tutti in camicia nera (o bruna: lo stesso vale per il nazismo, così spaccio l'intervento come a tema con la discussione) sono stati interpretati da destra come una riprova delle sfumature "socialiste" del nazifascismo, da sinistra come una riprova della retorica nazionalistica trasversale rispetto ai ceti. Certo c'è della verità in entrambe queste considerazioni, ma il dato importante che a me interessa ora sottolineare è che il fascismo propone un cambiamento che preveda non la lotta di classe ma la
concordia di classe. Ora, tutto ciò può sembrare interessante e persino condivisibile, ma cozza con il dato di fatto che lo Stato (qualsiasi stato) è strutturato per la difesa dei privilegi di
una classe sociale. Dire che sia possibile realizzare la concordia tra classi (ossia mettere realmente tutti nelle stesse condizioni concrete, superando una eguaglianza astratta, indistintamente dalla classe di appartenenza) in una tale situazione significa mentire. Il fatto che il salario sia il frutto del lavoro, la rendita del possesso e il profitto dell'"imprenditorialità" non è semplicemente una trovata equiparativa e semplificativa
by L'economia di Zio Paperone, ma è il risultato di una posizione ideologica che nella sua versione "competitiva", rispetto alle recenti incarnazioni "buoniste", era già viva ai tempi del fascismo. Unificare sotto uno stesso tetto profitti e salari serviva a rendere plausibile la "naturalità" del fatto che l'operaio dovesse lavorare per far soldi mentre il "capitalista" potesse far soldi incrementando il capitale investito grazie al lavoro altrui. Anzi, magari suggerendo che i maggiori introiti del capitalista fossero dovuti al maggiore fattore di rischio insito nell'attività imprenditoriale... come a dire, a ciascuno il suo, chi vuole rischiare poco e stringere poco punti sul rosso/nero e chi vuole rischiare molto e stringere molto punti sui numeri secchi. Ma la società non è una roulette...