Lino Procacci

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Valentini85
00venerdì 16 maggio 2008 18:15
Lino Procacci è senza dubbio il regista storico del "Il pranzo è servito" lo è stato dal 1982 al 1986. Procacci è stato anche un grande regista di tante trasmissioni come "TeleMatch", "Campanile sera", "Teatro 10", "Domenica in", "I sogni nel cassetto" e "Superflash", e lo è stato anche del cinema come "Souper", "Il generalissimo", "Scacco Matto" tutti nel 1956 e in coabitazione con altri registi "Pieta di Novembre" del 1968, "L’Alba, il Giorno e la Notte" sempre del 1968 e "Sogno di un Valzer" del 1977, e inoltre è stato regista televisivo delle commedie di Mimmo Macario. Nel 1998 è stato intervistato da Davide Mengacci in una puntata de "La Domenica del villaggio" e disse al termine dell' intervisto "Io sono il primo regista del "Il pranzo è servito" e Mengacci disse "Io sono l' ultimo conduttore del "Il pranzo è servito", per un giorno si è vista la storia de "Il pranzo è servito" a "La Domenica del villaggio".

E ecco una sua recente intervista.

di Gilberto Scalabrini

Umbria cuore verde d'Italia, ma anche terra di santi, poeti e … registi. Era il 1976, quando la Rai mandava in onda il primo intrattenimento domenicale della fortunata trasmissione “Domenica in”, per la regia di Lino Procacci, umbro doc. Ed è proprio a Procacci, quale responsabile artistico e tecnico, che il programma ha legato il suo nome fino al 1982. Il grande Lino ha curato con successo, per sei anni, tutte le fasi della produzione, occupandosi della preparazione e del controllo delle diverse fasi della diretta, dalle riprese alla scelta dei personaggi e dell'illuminazione.La sua capacità consisteva nel far ricordare a tutti le regole in un batter d'occhio, in modo gentile ma ferreo. Non ha mai posseduto formule magiche o segrete alchimie. Solo capacità e intelligenza. Nato 82 anni fa in Valnerina, nel paesino di Abeto, a 976m di quota, posto al confine del parco dei Monti Sibillini, a 8 chilometri da Preci e ad 11 da Norcia, Lino ha frequentato le elementari e le medie in questo agglomerato di pastori, che allora contava 200 anime. Poi studente pendolare a Norcia, fino al terzo ginnasio. Infine, a Roma, dove si è laureato in giurisprudenza. La sua tesi è stata “L'avviamento commerciale”. Non poteva essere diversamente, per fare un omaggio a suo padre che, nella capitale, gestiva alcune norcinerie. Oggi, Lino Procacci è sempre lo stesso maestro, anche se il tempo ha marcato i suoi lineamenti. In questi giorni è spesso a Foligno, dove in una sala parrocchiale di S. Eraclio, sta dando il suo contributo ad un cast di attori, fra i quali c'è anche il comico folignate Albano Bufalini, per uno spettacolo teatrale itinerante. Si intitola “All'ombra dell'Umbria”. E' il felice messaggio di un cantastorie che narra gli eventi mistici, poetici e artistici dei grandi personaggi della regione. Lo spettacolo andrà in scena nella prossima estate. Procacci, dall'alto della sua esperienza, da suggerimenti e forza alla recitazione.

Come è diventato regista?

Allarga le braccia e da dietro i suoi occhiali gli occhi si fanno lucidi: “Francamente non lo so neppure io. Frequentavo il teatro dell'università e facevo l'attore insieme a Renato Dolci e ad Anna Proclemer, divenuti poi entrambi famosi. Il regista era Gerardo Quaglieri. Io avevo un difetto di pronuncia, la s blefa, e così decisi di non calcare i teatri e abbracciare il mestiere di regista”.

E' vero che “Domenica in” è rimasta nel suo cuore?

“I programmi che ho realizzato sono tutti miei figli, ma non posso negare che “Domenica in” mi ha dato molte soddisfazioni. Ho conosciuto tanta gente. Gli ospiti della trasmissione, però, erano la cosa che mi piaceva di più. Ho lavorato molto bene con Corrado e “Domenica in” è stata una palestra dove si giocava molto bene”.

Lei ha conosciuto i grandi dello spettacolo. Chi ha stimato in modo particolare?

“Sono tre i personaggi che ho stimato in modo particolare e, caso strano, tutti e tre presentatori. A loro sono molto affezionato, sia sul piano professionale che umano, perché bravi e simpatici. Sono Corrado, Bongiorno e Vianello. Hanno sempre valutato e rispettato il lavoro degli altri”.

Quali sono i personaggi che ha lanciato sul piccolo schermo?

“Raffaella Carrà. Ha fatto la valletta nel “Paroliere, questo sconosciuto”, una trasmissione presentata da Valerio Stacci, dove si intervistavano gli autori delle canzoni più celebri.

Con chi si è confrontato in modo vivace e perché?

“Io non ho mai litigato con nessuno, perché il bisticcio è una cosa perfettamente inutile. Diciamo solo che c'è stata gente che ho stimato moltissimo ed altra che non ho stimato affatto. Sono contro l'arroganza in televisione. L'insolenza viene fuori subito. Non faccio nomi. Basta accendere la tv e vi accorgerete da soli a chi mi riferisco”.

Nel 1982 lei è stato il regista de "Il Pranzo è Servito", un gioco a quiz sulle abitudini alimentari degli italiani, in onda su Canale 5. E' vero che la proposta gli arrivò direttamente dal patron Silvio Berlusconi?

“In quel periodo io ero già a canale 5 e Berlusconi stava creando l'avventura della Tv privata. Corrado mi venne a trovare e insieme abbiamo fatto mille puntate. Con Corrado, che era unico come presentatore, ho curato anche la regia di altri programmi”.Ha un attimo di pausa, poi colpisce con una scudisciata: “Rifare la “Corrida” senza Corrado mi è sembrata un'idea infelice. Per rispettare la sua memoria, la “Corrida” doveva morire con lui. Purtroppo, così non è stato”.

Chi ha votato alle ultime elezioni politiche: Prodi o Berlusconi?

“Non te lo dico. In ogni modo, la mia massima è ama il tuo prossimo come te stesso. Questo basta a farti capire. Una volta, durante una conversazione politica, io dissi che votavo per quelli che seguivano questa teoria. Un rappresentante di Rifondazione comunista, mi fece notare che anche l'estrema sinistra ama il suo prossimo. E' vero -ribattei- ma c'è solo una piccola differenza: io l'ho appreso da uno che è morto in croce, mentre voi da uno che ha fatto morire in croce gli altri”.

Lei è stato anche l'ideatore delle taverne della Giostra della Quintana di Foligno e della prima gara gastronomica fra i dieci rioni. Grazie a lei, arrivarono in città tanti personaggi del mondo dello spettacolo e del giornalismo, come Ave Ninchi e Paolo Valenti. Che cosa ricorda di quella iniziativa?

“Era il 1975 e mi dissero che la Quintana stava morendo, accusava evidenti segni di stanchezza, quindi aveva bisogno di una boccata d'ossigeno. Mi inventai così la gara gastronomica per valorizzare i tanti prodotti eno-gastronomici del territorio, a cominciare dall'olio e dal vino. Ha avuto molto successo, tanto che è stata poi copiata da altre rievocazioni storiche”.

Nel 1986, ha condotto il varietà del sabato sera, “Sotto le stelle”, presentato da una smagliante Edwige Fenech. Che cosa accetta e non accetta della Fenech?

“La bellezza della Fenech bisogna accettarla, senza discutere. Lei, però, non aveva trent'anni fa una'esperienza televisiva, quindi mi ha complicato molto il lavoro, perchè credeva che le presentazioni degli ospiti potevano essere realizzate a spezzonii, mentre il programma non andava sfrangiato. Questo suo modo di fare, mi complicò parecchio il lavoro di montaggio. Comunque, era una professionista brava e bella. Ricordo che venne anche Simona Martini a recitare la parte della “manicure” in uno schec favoloso e la Fenech provò molta invidiava per tutti i personaggi che conosceva”.

Nel 1992, per Rai due, ha diretto le 65 puntate de “La famiglia Galeazzi", che ha avuto come protagonista Valeria Ciangottini. Se oggi, la chiamassero alla Rai, che cosa proporrebbe come regista per calamitare l'odience?

“Io sono d'accordo sulle farm e su tutte le scene demenziali che, comunque, servono a calamitare l'attenzione, ma la validità artistica e culturale di un programma è ben altra cosa. Purtroppo, cultura e odience non vanno mai in sincronismo. C'è sempre questa disparità tra la verità, cioè la cultura, e la realtà. Pertanto, dovrei fare dei tentativi. I tentativi io li apprezzo molto, ma quando vanno male occorre smettere. Oggi, invece, ai nuovi registi basta spingere un bottone del computer ed ecco gli effettacci. Questo modo di lavorare mi da fastidio, perché la gente pensa che si tratti di invenzioni nate dal loro cervello, mentre è la macchina a meravigliare. Noi, invece, abbiamo creato gli effetti facendo funzionare l'intelligenza. Aggiungo, inoltre, che quando le professioni non hanno un passato, non possono avere nemmeno un futuro. Il nostro passato è stata una traccia importante per i registi di oggi. Bisogna riconoscerlo ed apprezzarlo”.

Quali personaggi o spettacoli la tengono incollata al piccolo schermo?

“Le partite di calcio, perché sono un tifoso. La cosa più divertente (non certo dal punto di vista storico) è il processo del lunedì: c'è un'alternanza di personaggi che si inventano storie e chiacchierando tanto si insultano. Non credo che siano apprezzati dal pubblico, ma servono a fare odience. Seguo anche il cabaret, il varietà e i programmi dove ci sono gli ospiti che riescono a fare cose straordinarie, mandando spesso avanti lo spettacolo da soli”.

Quali sono i suoi pregi e suoi difetti?

“Se me lo chiedesse il Padre Eterno per sapere se devo andare all'inferno o in Paradiso, cercherei di trovare una risposta per salvarmi, ma visto che la domanda me la rivolge un giornalista dico che i miei difetti sono tanti. Comunque, io ho sempre presente la massima che ho già accennato. Anche se può sembrare banale, ama il mio prossimo come me stesso! E' la formula migliore per vivere in pace. Purtroppo, non è molto seguita. Non rientrano nella mia capacità di comprensione, l'assurdità e la mostruosità di certi delitti, spesso consumati in famiglia”.

Lei, pur corteggiato da tante donne, ha sempre rifiutato il matrimonio ed è single. Quale donna, però, serba nel suo cuore, perché ha amato?

“Io sono un tipo particolarmente libero. Dal matrimonio mi ha salvato il libro di Madame Bovary. Dopo averlo letto, mi sono detto: ma che mi sposo a fare? Oggi, però, mi sento un pò solo, quasi inutile, anche se ho un nipote al quale voglio molto bene. Comunque, ci sono state delle donne che ho amato, ma non appartenevano al mondo dello spettacolo, perché le ho sempre trovate superficiali. C'è stata, in particolare, una donna, ma non faccio il nome, perché non la conosce nessuno. In due o tre occasioni, inoltre, stavo per cedere, ma mi sono salvato. Quelle donne, sposate con degli amici, si sono poi divorziate”.

L'assale mai la nostalgia del passato?

“Tante volte. Fino alla guerra ho vissuto nel mio paese, Abeto, ed ho consumato un'infanzia e una adolescenza bellissime. Le 200 anime che vi abitavano erano per me fratelli, padri e madri, tanto che andavo e venivo dalle loro case. Ero circondato da molto affetto, comprensione e protezione. Adesso accuso la nostalgia del passato. Vorrei ricostruirlo, ma non è possibile, perché gli abitanti di Abeto sono solo 18 e tutti sradicati da quel tempo andato. Aveva pensato di rintrecciare i fili a Norcia, ma dei miei 14 coetanei del ginnasio, sono vivi soltanto due. Questo è stato un altro colpo mortale alla mia vita e con l'avanzare dell'età la solitudine si fa sentire sempre più forte. Allora ho deciso di avere come punto di riferimento Spoleto e Norcia. Vorrei compiere dei viaggi presso gli amici, che sono tanti e molti si trovano sparsi per il mondo. Vorrei soprattutto parlare, perché la comunicazione è un elemento importante. Lo faccio con il telefono e pago bollette salate, ma non me ne curo”.

Quali consigli darebbe ad un giovane che vuole diventare regista?

“Anzitutto consiglio di fare il mestiere che più gli piace, perché faticherà la metà. Oggi, fare il regista significa superare molte difficoltà, sia dal punto di vista artistico che sociale. Occorre soprattutto guardare bene l'ambiente che ti circonda e scegliere le persone giuste. E' molto difficile, però, lavorare in questo campo, perché non c'è più l'entusiasmo di una volta”.

Dove ha lavorato meglio, in Rai o a Mediaset?

“Ho lavorato bene sia in Rai che a Canale 5, ma solo all'inizio, perché c'era tanto entusiasmo da parte di tutti. Poi, quando la gente ha raggiunto il minimo indispensabile per vivere, si è adagiata e non gli è fregato più niente”.

Quanto conta una raccomandazione per entrare nel mondo dello spettacolo?

“Conta solo se hai delle capacità, altrimenti non conta nulla, anzi fai il tonfo più grosso”.

Lei è stato un raccomandato?

“Segnalato si, raccomandato no. Una volta, in uno dei collegamenti di “Domenica in” da New York, volevo andarci io, invece mandarono un altro che era più raccomandato di me”.

Una volta disse che si sarebbe ritirato a vita monastica. Pensa ancora di bussare alle porte di un monastero per diventare frate laico?

“Ho già fatto questa esperienza. Sono stato nel convento di Subbiaco lo scorso anno, per una settimana. Ho visto, però, che la vita monastica non fa per me. Il convento limita nelle proprie espressioni. Io invece ho bisogno di dialogare. Per ribussare alle porte di un monastero, dovrei prima scegliermi i monaci, gente di cultura e di umanità, poi indossare il saio. Un sogno che non potrà mai più trasformarsi in realtà”.

UN GRANDE

E voi che cosa ricordate di Lino Procacci ?




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