Sandro Botticelli

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"Palantir"
00mercoledì 29 ottobre 2003 02:02
Sandro Botticelli


Alessandro Filipepi eredita il soprannome secondo alcuni dal fratello Giovanni che per la sua grassezza era detto “botticella”; secondo Vasari da tal “Botticello”, orefice; secondo altri all’attività del fratello Antonio, che fu battiloro e battiargento, ovvero “battigello”. Figlio di un conciatore di pelli, inizia il suo apprendistato come orafo per poi passare nel 1464 alla bottega di Filippo Lippi. Nel 1467 diventa allievo del Verrocchio. Dai due maestri eredita da un lato i delicati colori e le linee dolci, dall’altro la plasticità delle figure. Intorno al 1470 si mette in proprio e, nel 1472, si iscrive alla compagnia degli artisti di San Luca. In questo periodo comincia a ricevere importanti commissioni e mette a punto fondamentali esperienze nel campo della pittura storico-religiosa (Dittico di Giuditta, 1469-1470 circa) e del ritratto (Ritratto d’uomo con una medaglia di Cosimo il Vecchio, 1474-1475 circa). Dal 1475 inizia a lavorare per i Medici, frequentando la corte e i più illustri personaggi dell’epoca. Realizza opere di straordinario equilibrio formale (Adorazione dei magi, 1475 circa; Madonna del libro, 1480 circa; Madonna del Magnificat, 1480-1481 circa; La Primavera, 1482 circa; La nascita di Venere, 1484-1486 circa), portando lo stile lineare fiorentino dei suoi maestri al massimo splendore. Nel 1481 è chiamato a Roma da papa Sisto IV che gli commissiona tre affreschi per la cappella Sistina. Rientra a Firenze l’anno successivo. La sua fama è ormai consolidata e, nel 1491, Lorenzo de’ Medici gli chiede di esaminare i progetti del concorso per la facciata del duomo di Firenze insieme a Lorenzo di Credi, Ghirlandaio, Perugino e Alessio Baldovinetti. La crisi politica a Firenze con la conseguente cacciata dei Medici e le predicazioni di Savonarola portano al progressivo incrinarsi delle certezze umanistiche e la pittura di Botticelli mostra tensioni sempre più marcate. Le opere degli anni Novanta assumono toni drammatici (Compianto sul Cristo morto di Milano, 1492-1495 circa), di forte coinvolgimento emotivo. Alla morte di Savonarola l’artista, che aveva abbracciato le idee moralizzatrici del frate, si rifugia nel misticismo e produce opere caratterizzate da una simbologia religiosa sempre più complessa (Crocifissione mistica di Cambridge, 1497 circa; Natività mistica di Londra, 1501 circa). L’evoluzione artistica di Botticelli, così legata alla situazione politica e religiosa fiorentina, segna il passaggio drammatico dal periodo aureo dell’umanesimo alle inquietudini del nuovo secolo.



"Palantir"
00mercoledì 29 ottobre 2003 02:19
Da ricordare:

- Madonna col Bambino

L’immagine della Madonna col Bambino cominciò a diffondersi soprattutto dal 431, dopo che il concilio di Efeso, esprimendosi contro l’eresia nestoriana, aveva ribadito la posizione di Maria come madre di Dio, e non solo di Gesù. Questa raffigurazione intendeva proprio incarnare la versione ufficiale della dottrina. La sua iconografia giunge in Occidente attraverso l’arte bizantina. Ma ben presto la rigida frontalità orientale, con il Bambino vestito, eretto e benedicente, lascia il posto a una raffigurazione più intima, dove la madre e il Bambino si abbracciano e si guardano. Questa immagine presenta numerose tipologie e varianti: i due possono essere rappresentati in trono (Maestà), seduti a terra (Madonna dell’umiltà), accompagnati da santi (Sacra conversazione), mentre leggono un libro (Madonna del libro), mentre la madre allatta il figlio (Madonna del latte), con la madre in preghiera davanti al Bambino, in un giardino, con san Giuseppe (Sacra Famiglia).

- Giovanni Battista

Giovanni costituisce la figura di connessione tra il Vecchio e il Nuovo Testamento, essendo l’ultimo profeta, il primo santo e il precursore di Gesù Cristo. Le informazioni sulla sua vita ci vengono soprattutto dai Vangeli e dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. Figlio di Zaccaria, sacerdote del tempio, e di Elisabetta, cugina di Maria, nacque quando questa era molto avanti negli anni e la coppia aveva ormai perso la speranza di avere figli. L’annuncio della sua nascita e la scelta del nome furono fatte dall’arcangelo Gabriele. Giovanni prese presto congedo dai genitori per andare nel deserto a condurre una vita di penitenza nutrendosi di locuste e miele. Cominciò quindi a predicare attirando grandi folle; sulle rive del Giordano istituì il sacramento purificatore del battesimo: per questo è detto il Battista. Battezzò anche Cristo e lo riconobbe come Messia quando vide scendere sul suo capo lo Spirito Santo. Poiché Giovanni nelle sue prediche aveva attaccato duramente il comportamento amorale e incestuoso del re Erode Antipa che viveva con la moglie del fratello, Erodiade, il sovrano lo fece gettare in carcere. Durante un banchetto Salomè, figlia di Erodiade, accettò di ballare per il re in cambio della possibilità di soddisfare qualunque desiderio. Su istigazione di Erodiade, chiese e ottenne la testa del Battista: Giovanni venne così decapitato. Tipici attributi di Giovanni Battista sono l’agnello (Agnus Dei), simbolo del sacrificio di Cristo che il santo indica, una croce di verghe e canne molto lunga ed esile, il vestito di pelli con una cintola di cuoio. Può anche reggere la ciotola per l’acqua del battesimo o un favo di miele. Da adulto è raffigurato quasi sempre emaciato e sofferente. Molto comune è la rappresentazione della sua testa mozzata portata su un vassoio, da un’ancella o da Salomè. Una vita autonoma ebbe l’iconografia del Battista infante, detto san Giovannino, raffigurato con la Vergine e Gesù Bambino soprattutto a partire dal XVI secolo.








Madonna col Bambino e san Giovannino

1468 circa
tempera su tavola; 93 x 69
Parigi, Louvre
Il dipinto è noto anche con il titolo di Madonna del roseto e fa parte della vasta produzione devozionale dell’attività giovanile del pittore. Qui Botticelli risente ancora degli influssi del carmelitano Filippo Lippi, nella cui bottega aveva fatto pratica tra il 1465 e il 1467. La soluzione iconografica adottata sottolinea la figura della Madonna come mater amabilis, che si esprime nell’accentuata tenerezza del rapporto fra la Madonna e il Bambino. La presenza del san Giovannino è forse una velata allusione alla città di Firenze di cui è patrono, ma compaiono nell’opera altri elementi simbolici caratteristici dell’iconografia mariana, come le rose e il libro.



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Madonna col Bambino e due angeli

1470 circa
tempera su tavola; 100 x 71
Napoli, gallerie nazionali di Capodimonte
Nei primi anni di attività Botticelli dedicò molti dipinti alla Madonna col Bambino; in questo quadro giovanile, Botticelli appare ancora legato ai modi e allo stile di Filippo Lippi. I protagonisti del dipinto sono collocati in un giardino circondato da un alto muro e, suggerisce la presenza dell’“hortus conclusus”, il luogo sacro alla Vergine.


Da ricordare:

- Angelo

Il nome angelo deriva dal greco e significa messaggero. Il ruolo di messaggero della volontà divina era presente nelle antiche religioni orientali, tanto che il personaggio alato di Mercurio è il prototipo della analoga figura del cristianesimo. L'Antico Testamento abbonda di citazioni relative a esseri la cui funzione è quella di trasmettere la volontà di Dio agli uomini e di proteggere i giusti (angeli custodi). Tra questi ultimi, emergono le figure di Raffaele (Libro di Tobia) e Michele (Libro di Daniele). Nel Nuovo Testamento troviamo invece (Vangelo di Luca) la figura dell'arcangelo Gabriele, che ha il compito di annunciare alla Vergine la nascita di Cristo. Nel V secolo si diffonde un testo, il De coelesti hierarchia, secondo il quale le schiere angeliche si dividerebbero in tre gerarchie principali e nove categorie: serafini, cherubini e troni; dominazioni, virtù e potenze; principati, arcangeli e angeli. I serafini e i cherubini sono creature raffigurate solamente con il capo provvisto di uno, due o tre paia di ali, e sono di colore rosso (serafini) o blu (cherubini), mentre per le altre categorie non esiste una distinzione netta, salvo alcuni specifici attributi. Una generica raffigurazione di angelo sembra rispondere al tipo iconografico di adolescente, più raramente a quello di un fanciullo, dall'aspetto femmineo, vestito di una tunica, con ali e lunghi capelli biondi, quasi sempre aureolato. Quest'ultimo attributo identificatore può a volte supplire all'assenza delle ali.



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San Sebastiano

1473 circa
tempera su tavola; 195 x 75
Berlino, Staatliche Museen
Forse messo in opera nella Chiesa di Santa Maria Maggiore il dipinto rappresenta Sebastiano, che negli anni in cui Diocleziano imperava su Roma era un tribuno delle guardie pretoriane. Egli, appena convertito, si era dato a fare proseliti tra le truppe ma, scoperto, nel 304 fu condannato a essere trafitto da frecce, alle quali tuttavia Sebastiano riuscì a sopravvivere. L'episodio venne rappresentato spesso in epoca cristiana ma non solo per la suggestione della vicenda, bensì per il fatto che nel corso del Medioevo san Sebastiano si era trasformato in protettore contro la pestilenza di cui le frecce scagliate contro il santo erano rappresentazione simbolica. Anche a Firenze colpita spesso da questo flagello si diffuse la devozione del santo ed è assai probabile che l’opera botticelliana fosse proprio un ex voto di ringraziamento a Dio per una guarigione o con funzione protettiva dal terribile flagello.


Da ricordare:

- Sebastiano

Santo martire della seconda metà del III secolo, vittima delle persecuzioni di Diocleziano (284-305). Secondo la sua leggenda agiografica risalente al V secolo e ripresa nella Legenda Aurea, era un giovane originario di Narbona, nella Francia meridionale, ma educato a Milano. Diocleziano, che si trovava ospite di Massimiano, aveva notato il bellissimo giovane e, non essendo a conoscenza della sua fede cristiana, lo aveva nominato capitano delle guardie del pretorio. Sebastiano approfittò della sua posizione per portare conforto ai confratelli perseguitati e in particolare sostenne nella fede Marco e Marcellino in attesa del martirio, convertendo con le sue parole anche molti romani e guarendo numerosi malati. L’imperatore, venuto a conoscenza di questa sua attività, lo fece arrestare e lo condannò a morte: venne legato a un albero e trafitto da frecce. Soccorso dagli angeli, si salvò e il giorno seguente tornò dall’imperatore reclamando un diverso trattamento per i cristiani. Venne allora bastonato fino alla morte e gettato in una cloaca. Apparso in sogno a santa Lucina le fece sapere dove si trovava il suo corpo e la pregò di seppellirlo ai piedi degli apostoli Pietro e Paolo. Fu inumato al cimitero di San Callisto sulla via Appia dove poi sorse la basilica a lui dedicata. Nell’alto Medioevo è raffigurato come un uomo in età avanzata, con la barba lunga e in mano la corona dei martiri, ma a partire soprattutto dal XV secolo fu privilegiata la rappresentazione del momento del martirio. Generalmente è effigiato come un giovane seminudo, legato a un albero o a una colonna, colpito da frecce e ai suoi piedi può essere posta la sua armatura. Compare sia in scene narrative, sia in dipinti devozionali dove è invocato soprattutto come protettore contro la peste, spesso accanto a Rocco, Cosma e Damiano.














"Palantir"
00mercoledì 29 ottobre 2003 02:32




Uomo con la medaglia di Cosimo il Vecchio

1474-1475
tempera su tavola; 57,5 x 44
Firenze, Galleria degli Uffizi
Andò a far parte del museo alla morte di Carlo de’Medici (1666) della cui collezione faceva parte. La presenza della medaglia di Cosimo il Vecchio “Pater patriae” ha fatto ipotizzare che l’uomo ritratto potesse essere un personaggio della casa Medici ma tra i vari nomi proposti l’ipotesi più suggestiva sembra quella che vede nella figura maschile il fratello di Sandro Botticelli, Antonio, orafo ed esecutore di medaglie. La medaglia che l’uomo tiene tra le mani è eseguita con la tecnica dello stucco dorato e applicato sul fondo della tavola, inconsueta nella pittura dell’epoca e di cui si conosce un altro esempio di analogo soggetto: l'Uomo con la medaglia di Nerone di Hans Memling.



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Adorazione dei magi
1475
tempera su tavola; 111 x 134
Firenze, Galleria degli Uffizi
In un passo del Vangelo di Matteo si narra che alcuni uomini saggi, per adorare il re dei Giudei appena nato, giunsero dall’Oriente a Betlemme seguendo il percorso indicato da una stella cometa. Sembra infatti che essi fossero sacerdoti persiani esperti nell’astrologia e capaci perciò di scrutare i fenomeni del cielo per prevedere i loro effetti terreni. L’iconografia dei magi, cara al Rinascimento fiorentino, è qui ripresa da Botticelli per la committenza di Gaspare di Zanobi del Lama, banchiere legato ai Medici. Il dipinto era destinato alla sua cappella, fatta costruire nel 1469 in Santa Maria Novella (oggi scomparsa). Alla scena assistono numerosi astanti in abiti contemporanei fra i quali sono stati riconosciuti i volti di alcuni membri della famiglia Medici, insieme al presunto autoritratto dello stesso pittore nella figura all’estrema destra avvolta in un mantello giallo.


Da ricordare:

- Magi -

Le figure dei re magi compaiono esclusivamente nel Vangelo di Matteo. Il testo sacro racconta come alcuni uomini provenienti dall’Oriente avevano seguito fino a Betlemme una stella che annunciava la nascita del «re dei giudei». «Si inginocchiarono e adorarono il Bambino. Poi aprirono i bagagli e gli offrirono i regali: oro, incenso e mirra»: l’oro rappresenta un omaggio alla regalità di Cristo, l’incenso alla sua divinità, la mirra, impiegata nell’imbalsamazione, prefigura la sua morte. Tertulliano nel II-III secolo fu il primo a definirli re. Di probabile origine persiana, la parola magi significa uomini sapienti. Si trattava probabilmente di babilonesi, esperti nell’osservazione degli astri e sacerdoti di Mitra, un culto che si era largamente diffuso nell’impero romano. Nella cultura figurativa delle origini - nelle catacombe, nei bassorilievi dei sarcofagi e in alcuni mosaici bizantini - i magi indossano proprio le vesti dei sacerdoti di Mitra e il berretto frigio a forma conica con la punta ripiegata. A partire dal primo Rinascimento sono invece effigiati soprattutto con abiti di corte. Nel loro seguito sono spesso presenti elementi che denotano la loro origine orientale, come cammelli e leopardi. Oltre all’adorazione, può essere rappresentato il loro incontro prima della partenza o il viaggio stesso. I loro nomi derivano forse da un pontificale (libro contenente le preghiere e il rituale per le funzioni) ravennate del IX secolo: il più anziano, Gaspare, è inginocchiato davanti al Bambino seduto in grembo alla Vergine; in piedi dietro di lui Baldassarre e Melchiorre, il più giovane. Nel tardo Medioevo i magi potevano rappresentare la personificazione delle tre parti del mondo; in questa accezione Baldassarre, incarnando l’Africa, può essere moro. Il più delle volte il tema rappresenta la sottomissione del potere temporale all’autorità della Chiesa.



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Pallade che doma il Centauro

1482-1483
tempera su tela; 207 x 148
Firenze, Galleria degli Uffizi
Fatto per Lorenzo di Pierfrancesco de Medici, questo dipinto insieme alla Primavera ornava le pareti del palazzo cittadino dei cugini di Lorenzo il Magnifico. Si tratta di un’allegoria profana della quale sono state date le più diverse interpretazioni: da quelle politiche a quelle morali e filosofiche. Minerva, che tiene sulle spalle uno scudo, regge con la mano sinistra un’alabarda, mentre con l’altra afferra i capelli del centauro che la guarda con un’espressione triste e risentita. Si è ravvisato un elogio in termini allegorici dell’abilità diplomatica di Lorenzo de' Medici, che si era prodigato per la pace e aveva stipulato un’alleanza con il regno di Napoli inducendolo ad abbandonare la lega antifiorentina di Sisto IV (1480). Minerva, con l’alabarda cerimoniale, i rami d’olivo intrecciati sui capelli, e la veste ornata di emblemi medicei, personificherebbe dunque Firenze e la pace; al centauro spetterebbe invece il ruolo della Roma di Sisto IV mentre nel paesaggio dello sfondo si sarebbe individuata Napoli e il suo golfo. Altri studiosi interpretano la tela ponendola in relazione alla cultura umanistica del tempo influenzata dal predominante clima neoplatonico e dalle idee filosofiche di Marsilio Ficino. Per cui nella contrapposizione fra istinto e razionalità il centauro-istinto viene domato da Minerva-ragione. Un’altra ipotesi interpreta il dipinto come una variante del tema della Castità che trionfa sugli istinti brutali della Lussuria con riferimento alla vita coniugale di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici il quale avrebbe fatto omaggio alla sua sposa Semiramide di questa grande tela.



Da ricordare:

- Pallade Atena/Minerva -

Figlia di Giove e Meti (Prudenza), Atena nacque dalla testa del padre, che aveva ingoiato l’amante poco prima che partorisse. Originariamente dea della guerra, che combatte per difendere la causa giusta e non per scopi distruttivi, Atena è una divinità benevola e portatrice di civiltà. In una celebre gara con Nettuno per il possesso dell’Attica fece dono agli uomini dell’ulivo. Divenne poi protettrice della pace, delle istituzioni, delle scienze e delle arti e, come tale, dea della sapienza. “Nata dalla testa”, era anche la dea della ragione e della creatività (inventò il flauto). I suoi attributi sono la lancia, l’elmo, lo scudo con la testa di Medusa e l’egida, una corazza in pelle di capra che le ricopre il petto. Accanto a lei si trovano un gufo o una civetta, spesso appollaiati su una pila di libri, simboli di conoscenza. Le è associato, sin dall’inizio del suo culto, anche il serpente, che dal Rinascimento le viene attribuito insieme all’ulivo come simbolo di saggezza. È una dea vergine e come tale protettrice della purezza.


- Centauro -

La mitologia classica descrive i centauri come esseri brutali e mostruosi, con il busto umano e la parte inferiore del corpo equina. Vivono isolati dagli uomini, nelle foreste e sulle montagne, e si cibano di carne cruda. Per gli umanisti rinascimentali il centauro rappresentava il lato animalesco della natura umana e come tale era opposto a Minerva, dea della sapienza. La più celebre delle loro imprese fu la lotta con i Lapiti, un sanguinoso episodio narrato da Ovidio nelle Metamorfosi: invitati alle nozze del re di Tessaglia Piritoo con Ippodamia, i centauri, ebbri di vino, cominciarono a comportarsi in maniera selvaggia e tentarono di rapire la sposa. Alla fine di un’aspra battaglia furono scacciati. Il racconto vuole celebrare la vittoria della civiltà sulla barbarie.














"Palantir"
00mercoledì 29 ottobre 2003 02:47




La Primavera

1482 circa
tempera su tavola; 203 x 314
Firenze, Galleria degli Uffizi
Il quadro si trovava appeso, insieme a Pallade che doma il centauro, nella stanza accanto alla camera da letto di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico, nel suo palazzo cittadino di via Larga. Secondo l’interpretazione più diffusa, protagonista della scena è Venere. Perno dell’intera composizione la dea sta nel centro del suo giardino ricco di piante ed erbe di ogni specie, che la mitologia classica situava nell’isola di Cipro. Essa è attorniata dalle divinità del suo entourage: Cupido bendato, le tre Grazie che danzano in circolo tenendosi per mano e Mercurio. Nella parte opposta del grande pannello si svolge l'incontro tra Zefiro, il vento che spira in primavera, e la ninfa Clori che, terrorizzata, fugge. Accanto alla Primavera, ecco infine Flora, raffigurata qui nell’atto di spargere boccioli di rose. L’intera composizione, in ogni suo particolare, è dunque dedicata all’esaltazione della primavera, stagione in cui la Natura esprime al massimo i suoi poteri di fertilità celebrata da Ovidio, da Orazio e da Lucrezio. Trasferita sul piano della filosofia neoplatonica l’allegoria poteva ancora una volta essere letta in altra chiave al centro della quale la Venere-Humanitas, sintesi di spirito e materia, tramite fra l’uomo e Dio, spartisce il mondo della materia a destra da quello dello spirito sinistra.



Da ricordare:

- Venere/Afrodite -

Afrodite è la dea dell’amore e della fertilità, identificata a Roma con Venere. È madre di Cupido e le sono ancelle le Grazie. Suoi attributi sono le colombe o i cigni, la conchiglia, i delfini, la cintola magica che rende seducente chi la indossa, la torcia che desta amore, il cuore fiammeggiante, la rosa, il mirto sempreverde come l’amore. Altro attributo convenzionale può essere lo specchio. Il mito narra della sua nascita dalla spuma creata dagli organi sessuali di Urano tagliati e gettati in mare da Crono. Appena uscita dall’acqua, fu trasportata dagli Zefiri fino alla costa di Cipro, ma secondo altre fonti approdò prima a Citera o a Pafo. Sulla riva fu accolta dalle Ore (le Stagioni) che la vestirono, la agghindarono e la condussero presso gli immortali. Un’altra versione del mito la vuole invece figlia di Zeus e Dione. Platone immaginò l’esistenza di due Veneri, una nata da Urano, il cielo, e detta perciò Venere urania, dea dell’amore puro; l’altra nata da Dione detta Venere pandemia, cioè popolare, dea dell’amore volgare. Dal punto di vista iconografico Venere può essere rappresentata come anadiomene, cioè che sorge dalle acque, che giunge alla riva di Cipro, giacente o dormiente, in trionfo, o associata ad altri soggetti mitologici.


- Cupido/Eros -

Nome latino del greco Eros, dio dell'amore. Nato per le più antiche teogonie dal caos primitivo, oppure secondo la tradizione più comune figlio di Venere e Marte, è in genere rappresentato come un fanciullo alato con arco, frecce e faretra che colpisce gli dei e gli uomini scatenando in loro la passione. Talvolta è dipinto bendato per ricordare che l’amore è cieco e anche per evocare l’oscurità del peccato. Quando dorme sotto un albero la passione non può avere sfogo e l’amore è infelice. Se reca una torcia spenta o capovolta simboleggia la caducità dei piaceri terreni. Il globo terrestre che regge in mano allude invece al carattere universale dell’amore. Spesso Cupido viene punito da Venere per i danni provocati dalle sue frecce. In una favola morale Teocrito narra che Cupido, mentre rubava un favo di miele, fu punto da un’ape e corse piangendo dalla madre, la quale lo redarguì dicendogli che le sue frecce erano molto più dolorose. In epoca rinascimentale e barocca la sua figura spesso si moltiplica originando i cosiddetti eroti, amorini o puttini, derivazione iconografica degli angioletti cristiani, scherzosi bambini alati messaggeri d’amore accompagnatori di Cupido, al seguito di Venere.

- Grazie -

Le Grazie (in greco Cariti) sono tre sorelle: Eufrosine (la gioia), Talia (la fioritura) e Aglae (lo splendore). Figlie di Giove e di Eurinome, figlia dell’Oceano, vivono sull’Olimpo insieme alle Muse. Almeno due accompagnano quasi sempre Venere nascente; hanno anche il compito di tessere il manto purpureo per rivestire la dea. Fanno parte del seguito di Apollo e possono accompagnare Dioniso, Atena, in quanto dea dei lavori femminili e dell’attività intellettuale, Afrodite ed Eros. Sono divinità della bellezza e forze della vegetazione, diffondono la gioia nella natura ed esercitano benefici influssi sui lavori dell’intelletto e sulle opere d’arte. Generalmente sono raffigurate sin dall’antichità come tre giovani nude che si tengono per le spalle; due sono rivolte verso lo spettatore, quella al centro è ripresa di schiena. Come attributi recano la mela, il dado e, come Venere, la rosa e il mirto. Gli umanisti rinascimentali le considerarono simboli delle tre fasi dell’amore - la bellezza, il desiderio, l’appagamento -, oppure come personificazioni della Castità, della Bellezza e dell’Amore.

- Mercurio/Ermete -

Figlio di Giove e della ninfa Maia, è protettore dei viandanti e dei viaggiatori, del commercio e della ricchezza, nonché dei ladri, ed è messaggero degli dei. I suoi attributi sono il cappello dei viaggiatori - che può esser fornito di ali -, i calzari alati e il caduceo. Fin dalla infanzia si manifestò la sua scaltrezza: la prima impresa, appena uscito dalla culla, fu l’uccisione di una tartaruga e il furto dei buoi di Apollo: inventò allora la lira, ricavata dal guscio della tartaruga, e utilizzando come corde gli intestini dei buoi. La lira fu poi merce di scambio con Apollo per la restituzione dei buoi; al piccolo dio, Apollo donò allora il magico caduceo. Mercurio può anche guidare la danza delle Grazie o essere raffigurato in qualità di psicopompo (conduttore delle anime), che guida il viaggio dei morti nell’aldilà.


- Zefiro -

Personificazione del vento primaverile dolce e leggero, portatore di piogge, che soffia da ponente risvegliando la terra addormentata per farla fruttificare di fiori e piante. Come gli altri venti è figlio di un dio delle stelle e della dea Eos/Aurora. Secondo il mito raccontato da Ovidio nei Fasti, Zefiro si incapricciò della ninfa Chloris e la sposò trasformandola nella dea della fioritura.

- Flora -

Potenza vegetativa che fa fiorire gli alberi, Flora era una divinità italica a cui Ovidio nei Fasti ricollegò il mito greco di Chloris: la ninfa Chloris, errando nei boschi in un giorno di primavera, fu scorta da Zefiro, dio del vento primaverile d’Occidente, che se ne innamorò e la rapì, sposandola poi in giuste nozze; come dono matrimoniale Zefiro la fece regnare su tutti i tipi di fiori e sui loro semi, trasformandola così da semplice ninfa in dea della natura colta nel suo sbocciare. Nell’iconografia classica Flora viene rappresentata con un corno dell’abbondanza dal quale attinge fiori da spargere. Proprio per il suo dominio sulla rinascita della natura fu spesso usata come allegoria matrimoniale. È raffigurato anche il suo trionfo guidato da Venere dove Flora è trasportata su un carro trainato da putti.

- Clori/Flora -

Clori, figlia di Anfione e di Niobe, è la dea dei fiori e della fioritura nella mitologia greca, sposa di Zefiro, il vento primaverile d'Occidente che sparge il seme fecondatore. Il suo pendant presso i romani e le antiche popolazioni italiche è Flora, alla quale erano dedicati i riti che festeggiavano l'arrivo della primavera, le Floralie. Il personaggio femminile si trova descritto in diversi autori latini, come Lucrezio e Ovidio; è soprattutto nei Fasti di quest'ultimo che troviamo la storia di Clori e Zefiro: il giardino di Flora è un dono del vento primaverile, il quale insegue Clori sino a possederla e a fecondarla, tramutandola in Flora, e da questa unione sbocciano i fiori e le piante. Altri soggetti iconografici che riguardano Flora sono la processione trionfale, guidata da Venere, e i numerosi ritratti della dea, raffigurata con ghirlande e mazzi di fiori.















"Palantir"
00mercoledì 29 ottobre 2003 03:16




Venere e Marte

1483 circa
tempera su tavola; 69 x 173,5
Londra, National Gallery
Si è pensato che Botticelli avesse eseguito il dipinto per i Vespucci al nome dei quali parrebbero alludere le vespe che provengono da un ceppo nell’angolo destro. Forse l’elaborazione botticelliana della mitologica love story era per una spalliera destinata a decorare la camera nuziale degli stessi Vespucci. L’amore fra il dio della guerra e la dea era un tema assai caro ai pittori dell’epoca. Marte addormentato e l'elegante Venere sono distesi su un prato con cespugli di mirto, pianta sacra a Venere. Intorno, dei satirelli giocano con le armi del dio dormiente. Secondo molti studiosi, Venere e Marte è più di un semplice omaggio alla mitologia e all’amore: la tavola risentirebbe del clima umanistico e delle teorie neoplatoniche che si erano sviluppate nella Firenze medicea di cui Botticelli faceva parte. Così l’immagine sarebbe una rappresentazione allegorica dell’“armonia degli opposti”, ovvero della vittoria di Venere (l’amore) su Marte (la guerra) o anche della Venere-Humanitas che ha il potere di sopire la guerra.


Da ricordare:

- Venere -

Vedi precedentemente.

- Satiro -

Personaggi mitologici, i satiri sono demoni della natura di aspetto semi-ferino. Al posto delle gambe hanno di norma irsute zampe di capra, sulla loro testa spuntano piccole corna, le orecchie sono a punta e una barba incolta incornicia il volto dai tratti marcati. Essi fanno parte del seguito orgiastico di Bacco, con cui condividono il godimento dei piaceri terreni, ereditando talvolta dal dio anche gli attributi: uva, vino e corona di foglie di edera. Per soddisfare il loro irrefrenabile istinto sessuale i satiri insidiano le ninfe dei boschi. Loro caratteristiche principali sono infatti la lubricità e la lussuria, ma quali simboli positivi di fecondità essi possono comparire anche in allegorie della fertilità e dell’abbondanza.


- Marte/Ares -

Il dio greco e romano, generato dall'unione di Zeus/Giove e Era/Giunone, è una delle dodici divinità che abitano il monte Olimpo. Inizialmente identificato come il dio della primavera, in seguito prese la connotazione di dio della guerra a causa della sua indole aggressiva che rendeva difficili i rapporti con le altre divinità. Fra queste, l'unica in armonia con lui era Afrodite/Venere, il cui amore per l'impetuoso dio diede origine alle storie di Marte, Venere e Cupido, narrate nell'Odissea e nelle Metamorfosi di Ovidio: il mito letterario riferisce che Venere, sposa di Efesto/Vulcano, si innamorò perdutamente di Marte e tradì il legittimo consorte. Il marito, avvertito da Elio/Sole, forgiò delle catene magiche che avvinsero i due amanti all'alcova, sorprendendoli così in flagrante. La raffigurazione iconografica del dio, che prevede alcune varianti, è generalmente quella di un guerriero, con un elmo e uno scudo quali attributi. Più che presso i greci, egli fu molto popolare presso i romani: sin da tempi memorabili, e fino all'anno 510 a. C., era venerato sul Campidoglio, insieme a Giove e Quirino. Il mese di marzo è così chiamato in suo onore, come pure il terreno dedicato alle esercitazioni militari a Roma, che prende il nome di Campo marzio, o Campo di Marte.



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Annunciazione

1489-1490
tempera su tavola; 150 x 156
Firenze, Galleria degli Uffizi
Quest’opera fu ordinata nel 1489 da Benedetto di Ser Francesco Guardi per la sua cappella nella chiesa dei frati cistercensi del Cestello (oggi Santa Maria Maddalena dei Pazzi). La scena si svolge in un ambiente chiuso che presenta elementi architettonici caratteristici dell’epoca ed espedienti volti alla costruzione illusionistica dello spazio, guidando l’occhio verso il paesaggio inquadrato dalla finestra. Ma il realismo dello spazio non esclude la presenza nella scena di alcuni elementi simbolici caratteristici dell’iconografia dell’Annunciazione perché attributi di Maria stessa come il giglio sorretto dall’arcangelo Gabriele emblema della sua purezza e il leggio allusivo alla presenza di un libro, a ricordare la profezia di Isaia che, dalle pagine dell’Antico Testamento aveva preannunciato il concepimento e la nascita di Cristo da una vergine.


Da ricordare:

- Annunciazione -

L’episodio dell’Annunciazione viene raccontato soltanto nel Vangelo di Luca, ma per la sua importanza dottrinale è uno dei soggetti più rappresentati dell’arte sacra. I tre elementi fondamentali dell’iconografia sono l’arcangelo Gabriele, Maria e la colomba dello Spirito Santo che scende su di lei con un fascio di luce. La colomba può essere anche sostituita o affiancata da Dio Padre. L’arcangelo porta una veste bianca, può essere raffigurato in volo o su una nuvoletta, anche se più spesso è in piedi o in ginocchio davanti a Maria. Gli scritti di san Bernardo collocano l’evento in primavera, il 25 marzo: da qui la presenza di alberi verdi, di fiori, poi sostituiti dal giglio simbolo della purezza di Maria. Il fiore può essere tenuto dall’angelo o essere posto in un vaso di vetro attraversato dalla luce. Quest’ultima immagine, così come i raggi che penetrano da una finestra, sono simboli dell’Incarnazione. A causa della rivalità tra le due città, in area senese il giglio, emblema di Firenze, può essere sostituito, per esempio, da un ramo di olivo. La scena si svolge abitualmente all’esterno, sotto una loggia o un portico aperto. Può avere luogo, anche se più raramente, in una stanza chiusa, la camera di Maria. La presenza del letto è il simbolico “Thalamus Virginis”, il letto della sua unione con Dio. Nelle figurazioni nordiche l’episodio è dipinto anche all’interno o sulla soglia di un edificio gotico illuminato, simbolo della Chiesa cristiana, in opposizione a una buia costruzione di fattezze romaniche presente sullo sfondo, allusione alla sinagoga, ovvero all’antica legge. Può trovare posto nella composizione anche un giardino recintato, “hortus conclusus”, o una torre, allusioni alla castità di Maria. Maria, effigiata in piedi, seduta o più spesso inginocchiata, può avere in mano una rocca per filare la lana e un cestino da lavoro: le leggende apocrife infatti raccontano che la Madonna venne allevata nel tempio di Gerusalemme dove filava e tesseva per i sacerdoti. Quasi sempre si riscontra la presenza di un libro, aperto su un leggio o anche chiuso in mano alla Vergine. È frequente la presenza di cartigli o di parole incise che rimandano al passo del Vangelo di Luca.

- Arcangelo Gabriele -

Araldo delle nascite, l’arcangelo Gabriele, oltre che nel Vangelo di Luca, compare nel Libro di Daniele del Vecchio Testamento e nel Corano: per questo la sua figura è venerata anche dagli ebrei e dai musulmani. La sua comparsa preannuncia la nascita di Maria, di Giovanni Battista e di Gesù Cristo. Si identifica con Gabriele l’angelo che apparve alla madre di Sansone per annunciarle la nascita del figlio e quello che si manifestò ai pastori per invitarli ad adorare il Bambino nella grotta di Betlemme: per questo motivo può comparire anche nella Natività. Gabriele è anche l’angelo che si presenta alle pie donne al sepolcro di Cristo dopo la sua resurrezione. Nell’Annunciazione alla Vergine regge un giglio, simbolo della purezza di Maria, oppure uno scettro.



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Natività mistica

1501
tempera su tela; 108,5 x 75
Londra, National Gallery
Unica opera firmata e datata, la Natività pare carica delle inquietudini del momento storico in cui venne dipinta: i “torbidi d’Italia” come un’iscrizione nella stessa opera sembra denunciare. La morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492 aveva scatenato una dura lotta per il potere a Firenze, l’ascesa di Cesare Borgia autorizzava le peggiori preoccupazioni. Soprattutto, arrivavano voci di una nuova invasione dei francesi in Italia, dopo quella di Carlo VIII del 1494. La Sacra Famiglia è al centro mentre in primo piano tre angeli abbracciano tre uomini. A destra della capanna si vedono due pastori con la testa cinta di rami mentre a sinistra, in un altro gruppo di uomini e angeli, uno di questi tiene in mano un ramo di ulivo e indica Gesù. Sul tetto di paglia sono inginocchiati tre angeli che sorreggono un libro aperto. In alto, sotto una cupola d’oro, si vede un girotondo di angeli. In primo piano cinque piccoli diavoli sono sprofondati nei crepacci o vengono trafitti dai loro stessi forconi. L’ostentato arcaismo della scena e gli inconsueti motivi iconografici come l’abbraccio degli angeli con gli uomini sembra adombrare una sorta di visione profetica della liberazione dell’umanità.



Da ricordare:

- Natività -

Solo i Vangeli di Matteo e Luca descrivono la nascita di Gesù, ma, a causa della scarsità di particolari le narrazioni vennero ampliate con i dettagli forniti dai Vangeli apocrifi. Poiché l’imperatore Augusto aveva decretato il censimento della popolazione, Giuseppe partì dalla Galilea insieme con Maria incinta per raggiungere la città di cui era originario, Betlemme. Mentre si trovavano lì nacque Gesù che venne avvolto in fasce e posto in una mangiatoia. Non avevano infatti trovato posto in nessun altro ricovero. Un angelo del Signore si presentò a dei pastori che trascorrevano la notte all’aperto e annunciò loro l’avvento del Salvatore: questi raggiunsero la capanna per adorare il Bambino. Matteo narra anche l’episodio dei re magi, venuti dall’Oriente a portare doni a Gesù seguendo una stella cometa. La scena si svolge abitualmente in una capanna e/o davanti a una grotta, secondo le indicazioni fornite dall’apocrifo Libro di Giacomo. La capanna appare di solito in rovina poiché simboleggia l’antica legge superata dalla venuta di Cristo. La presenza del bue e dell’asinello è mutuata dall’apocrifo dello Pseudo-Matteo. Giuseppe spesso è raffigurato addormentato, mentre riceve in sogno l’avvertimento di fuggire in Egitto. Secondo le Rivelazioni di santa Brigida del 1370 il Bambino comparve accanto alla Vergine mentre questa pregava in ginocchio e con i capelli sciolti. Per questo Maria può essere raffigurata in adorazione del Bambino. Per un’altra tradizione di ambito bizantino, il parto avvenne alla presenza di una levatrice, Zebel. Avendo assistito alla miracolosa nascita del Bambino malgrado la verginità di Maria, raccontò a un’altra levatrice sua amica, Maria Salomè, l’evento divino. Non credendo questa al racconto, volle constatare di persona, ma quando cercò di toccare Maria le si seccò il braccio. Un angelo però le rivelò che toccando il Bambino sarebbe risanata e così fece. Presente anche nell’iconografia occidentale, questo soggetto, raffigurato come una vera e propria scena di parto con Maria sdraiata su un letto alla presenza di due levatrici, venne soppresso dal Concilio di Trento. Nelle Meditationes di Giovanni de’ Cauli invece la Vergine si levò durante la notte, si appoggiò a una colonna e il Bambino giacque tutto a un tratto nella paglia ai suoi piedi, senza causarle alcuna pena. La colonna compare spesso nelle scene anche come parte della capanna.


"Palantir"
00mercoledì 29 ottobre 2003 03:26




La nascita di Venere

1484-1490 circa
tempera su tela; 172,5 x 278,5
Firenze, Galleria degli Uffizi
Fonti del soggetto iconografico del dipinto sono gli Inni omerici e le opere di Ovidio. Ma è stata rilevata una stretta corrispondenza fra la composizione dell’opera e un rilievo figurato posto sulla porta di un fantastico palazzo di Venere descritto da Poliziano in un passo delle Stanze. Diverse le interpretazioni del soggetto che sembrano andare oltre la celebrazione della dea, come mitica incarnazione della bellezza e dell’Amore, affondando le radici nell'ambito della cultura neoplatonica, sullo sfondo della quale operava Botticelli. Non si tratterebbe dunque semplicemente della rappresentazione della nascita della dea pagana dell'amore, ma del sorgere dell’ Humanitas, virtù generata dall’unione dello spirito con la materia che, per gli eruditi dell'epoca, si identificava con la purezza e la disadorna bellezza della nuda Venere. Sulla sinistra sono dipinti Aura, la dolce brezza, e Zefiro abbracciati, mentre a destra una delle Ore sta per gettare un mantello ornato di fiori sulle spalle di Venere.



Da ricordare:

- Venere -

Vedi precedentemente.


- Aura -

Aura, il cui nome significa brezza, era figlia di una donna frigia, Peribea e del titano Lelanto. Veloce come il vento cacciava insieme alle compagne di Diana. Amata da Dioniso, non volle concedersi al dio che invano cercava di raggiungerla, fino a che Afrodite non la fece impazzire. Dioniso le diede due figli gemelli ma nella sua follia lei li dilaniò e si gettò nel fiume Sangario. Zeus la trasformò in sorgente.


- Zefiro -

Vedi precedentemente.


- Ore -

Figlie di Zeus e di Temi (dea della legge), le Ore sono le figure femminili che impersonano le stagioni e presiedono al ciclo della vegetazione. Secondo una partizione triadica dell’anno sono tre, Tallo (la fioritura), Auxo (la crescita), Carpo (il frutto). In quanto figlie di Temi sono anche divinità dell’ordine umano: Pace, Diritto, Legalità. Si accompagnano a Pan, il dio dei boschi, e stanno al seguito di Venere al pari delle Grazie. Solitamente vengono rappresentate in atteggiamento elegante con una pianta o un fiore in mano. Divennero anche la personificazione delle ore del giorno.




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