Stonehenge

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Gufo Astrale
00domenica 19 settembre 2004 20:55


Dal sito di ACAM Associazione Culturale Archeologia e Misteri -

Stonehenge

Nei paesaggi dell'Irlanda e della Gran Bretagna sono disseminati antichissimi "monumenti" megalitici: menhir, dolmen, pietre oscillanti e cromlech. Eppure queste pietre gigantesche furono collocate e ordinate secondo precisi calcoli astronomici da popolazioni all'apparenza primitive. Ma perché comunità dalla "economia di sussistenza" sentivano il bisogno di determinare con matematica sicurezza solstizi e movimenti lunari? Si può parlare di "ricerca scientifica" presso gli antichi Celti di Gran Bretagna e d'Irlanda? Un vecchio manoscritto conservato nella Biblioteca del Collegio del Corpus Christi a Cambridge raffigura il cerchio di pietre di Stonehenge con sotto questa didascalia.

"Stonehenge, presso Amersbury in Inghilterra. Nel 483 A.D. il Mago Merlino trasportò la danza dei Giganti dall'Inghilterra a Stonehenge"

Soffermiamoci sull'espressione "danza dei Giganti". Durante tutto il Medio Evo, le pietre ritte, i dolmen, i menhir, i cromlech furono noti in tutta l'Europa sotto le varie denominazioni di "pietre delle fiate, pietre vacillanti, pietre che girano ". L'arcivescovo di Uppsala in Svezia, Olaus Magnus, grande "fabbricatore" di libri, battezzò "danza dei Giganti" quegli strani cerchi di pietra, senza dubbio perché scorgeva in essi, al pari dell'amanuense del manoscritto di Cambridge, dei Giganti trasformati in pietra dal Mago Merlino durante un balletto misterioso. San Gildas vi scorgeva l'opera del diavolo:

"meraviglie diaboliche che superavano in mole e numero tutto ciò che aveva prodotto l'Egitto".

Lasciamo le epoche mitiche. Già nel 1747 Stukeley propose una ardita ipotesi. Stukeley fu uno strano personaggio. Medico, si interessava più alle pietre ritte che abbondano nello Wiltshire, che non alla medicina. Fin dalla più tenera infanzia, visse in mezzo a quei cerchi magici di pietre elevate, di allineamenti geometrici, e li interrogava. Li abbandonava solo per meglio pensare ad essi. Al ritorno, attratto dal loro mistero, chiedeva ad essi in ginocchio il segreto della loro simmetrica disposizione. Un giorno, dopo anni di pazienza, di studi e di meditazioni, ritenne di averlo scoperto. Ecco, secondo lui. il segreto:

Sulla collina Hakpen esiste un piccolo cerchio che precede un viale formato da sei o otto pietre, orientate da est a ovest. Fra Kennet e Avebury, vi è un altro viale che conduce ai cerchi, ma con direzione nord-sud. Se si congiungono questi frammenti con una linea curva e si sa guardare, si distingue perfettamente che Hakpen è la testa di un serpente, il viale il suo corpo e Avebury è una parte sinuosa del corpo, la cui coda si trova tracciata - più lontano - dalle due pietre del dolmen chiamato "Rifugio della pietra lunga" e situato a mezza strada tra Avebury e l'estremità dell'animale.

Stonehenge e i cromlech similari sono dunque testimonianze di un culto del serpente. A tale ofiolatria bisognava dare un nome per descrivere i templi all'aria aperta. Lo Stukeley dette loro il nome di "Dracontia". Ed ecco, sulla base di molti testi latini, inventato di sana pianta un nuovo culto.

Tuttavia, poco a poco, alcune osservazioni dapprima fortuite, poi controllate e confrontate, indussero qualche dotto a pensare ad un rapporto tra la forma di Stonehenge, il suo orientamento e il corso del sole. Pare che il primo a richiamare l'attenzione su tale eventualità sia stato un certo John Smith nel 1771. Ma, prima di esporre teorie e ipotesi moderne sull'origine, la data e il significato di Stonehenge, conviene dire qualche parola sul monumento.

Stonehenge è inserita essenzialmente entro un’area rituale di forma circolare, delimitata da un fossato e da una serie di cerchi di pietre poste verticalmente alle quali conduce un largo viale, orientato da nord a est e definito da due scavi. Al centro dell'area si innalzano altri monoliti, uno dei quali supera i dieci metri di altezza. Alcune pietre sostengono architravi che le uniscono due a due. Quattro di tali monoliti, sormontati da tre architravi, ancora si elevano così come erano all'origine, proprio di fronte al viale che conduce a Stonehenge.

Il cerchio di pietre esterno porta il nome di "Cerchio di Sarsen" espressione il cui significato si è perduto e che in senso stretto si applica soltanto ai menhir dello Wiltshire. La parola sarsen è stata poi estesa alla pietra arenaria a tubercoli con la quale tutti i monoliti sono stati realizzati. Il diametro del cerchio è di circa trenta metri. Sulla sua circonferenza si elevavano trenta monoliti, oggi ne rimangono solo sedici, che - quasi tutti - raggiungono i quattro metri di altezza. Gli architravi che li sormontano portano l'altezza complessiva a metri 4,75. Tali architravi, tagliati in forma di arco, sono leggermente più larghi alla sommità anziché alla base in modo da controbilanciare l'effetto della prospettiva. Essi erano fissati sulle pietre mediante un dado tagliato in modo da incastrarsi in una caletta ricavata nello spessore dell'architrave medesimo.

Nell'interno del Sarsen Circle vi è un secondo cerchio di ventitré metri di diametro: quello delle Pietre azzurre – Bluestone Circle - e di tali pietre ne restano una ventina, la maggior parte contrapposte diametralmente. Sempre verso l'interno, si succedono poi altri due ordini di pietre collocate in forma di ferro di cavallo, aperto in direzione nord-est.

Il primo, la cui costruzione ricorda quella del Sarsen Circle, era in origine formato da cinque gruppi di due monoliti, sormontati da un architrave. Il gruppo più alto raggiunge l'altezza di dieci metri. Il secondo, formato da strutture più piccole, conta diciannove pietre, la più alta delle quali raggiunge soltanto l'altezza di metri 2,40.

Al centro del monumento, entro il secondo ordine di pietre a ferro di cavallo., vi è una pietra piatta della lunghezza di circa cinque metri, coricata sul suolo. La forma e la giacitura le hanno valso il nome di "pietra di altare", appellativo che niente può giustificare.

Questo è Stonehenge. Notiamo qualche altro particolare: all'esterno del Sarsen Circle si rilevano due serie di buche "Z" e "Y", le prime a una distanza dal cerchio che varia fra metri 1,50 e metri 5. Le altre a circa 12 metri. La loro funzione rimane misteriosa. Non sembra esservi dubbio che furono scavate dopo l'erezione dei monoliti. In essi sono stati ritrovati resti di pietre e di vasellame. Infine, completamente all'esterno, contigua al fossato circolare, esiste una terza serie di buche, note sotto il termine di "Aubrey Holes", dal cognome dell'antiquario che le scoprì nel 1666.

Queste ultime furono accuratamente scavate lungo la circonferenza di un cerchio di 85 metri di diametro e il loro centro non si allontana mai più di 30 o 35 centimetri da tale cerchio. Come le buche "Z" e "Y", anche queste sono state trovato piene di resti diversi: ceneri di legna, residui di selci provenienti dal taglio di arnesi di pietra, tracce di cremazione ecc.



Gufo Astrale
00domenica 19 settembre 2004 20:57
Stonehenge Approfondimento
Dal sito di ACAM Associazione Culturale Archeologia e Misteri -

- STONEHENGE - L'approfondimento
di Ermando Danese

"Recentemente scienziati molto stimati hanno cominciato a domandarsi se alcuni megaliti non siano stati, dopo tutto, costruiti al fine di trasmettere, o almeno di rappresentare, delle tradizioni spirituali o culturali. - Scrive Wernick -
Alcuni storici hanno esaminato Stonehenge ed altri megaliti con l'occhio della fede, ed affermano di avervi trovato misure e rapporti di straordinaria complessità e profondo significato. Queste misurazioni, come altre simili della Grande Piramide d'Egitto, dei templi di Akabar in India, della cattedrale di Chartres in Francia e della Piramide del Sole a Teotihuacàn nel Messico, si dice rappresentino certe formule esoteriche esprimenti le nascoste armonie dei cieli e i simboli del passato. Circoscrivendo la pianta dei megaliti con triangoli, pentagoni ed esagoni, e misurando le distanze fra alcune punte di queste figure, moltiplicandoli, poi, oppure trovando le loro radici quadrate, gli scienziati hanno fatto calcoli che risolverebbero diversi problemi.
John Michell, ad esempio, presenta una serie di carte e piante per dimostrare che Stonehenge fu "costruita secondo la geometria ed i calcoli del Quadrato del Sole". Questo mistico Quadrato del Sole, spiega Michell, è una disposizione di numeri in fila come in una cartella di tombola, nella quale ogni fila - verticale, orizzontale o diagonale - dà come risultato 111, mentre la somma totale dei numeri è di 666, una cifra ricca di significati per gli occultisti".
Giuseppe Porto scrive che "recentemente si è scoperto che 111 metri corrisponde alla millesima parte di un grado dei meridiani. Questo richiama la prassi medioevale seguita per costruire le cattedrali gotiche, le cui navate avevano una lunghezza pari alla millesima parte della larghezza del grado del parallelo geografico su cui le cattedrali stesse sorgevano".
Infatti, scrive Aldo Tavolaro, che "la cattedrale di Chartres sorge su un parallelo geografico (48°26'53") la cui lunghezza di un grado è di 74 chilometri. Ebbene, la lunghezza della navata della chiesa è di 74 metri (millesima parte) e quella del coro di 37 metri (duemillesima parte) e 37 metri è alta la volta ed altrettanto profondo il pozzo celtico.
La cattedrale di Beauvais sorge su un parallelo geografico (49°26') la cui lunghezza di un grado è di 72 chilometri. La lunghezza totale della cattedrale è di 72 metri (millesima parte della lunghezza di un grado del parallelo) e 36 metri è lungo il coro (duemillesima parte). La cattedrale di Amiens sorge su un parallelo geografico (49°53') la cui lunghezza di un grado è di 70 chilometri e i transetti della cattedrale sono lunghi 70 metri. La cattedrale di Reims sorge su un parallelo geografico (49°,15') la cui lunghezza di grado è di 71 chilometri. La cattedrale è lunga 142 metri, ossia due volte la millesima parte del grado di quel parallelo.
Il cubito sacro o di Salomone (cm 55,5) con il quale quel saggio re costruì il tempio di Gerusalemme, rientra tra quelle misure lineari antiche che hanno una matrice geografica perché discende dal meridiano terrestre13. Lo troviamo in Egitto e lo ritroviamo anche nel medioevo europeo. Tuttavia tale misura è presente da ben 4000 anni a Stonehenge dove i monoliti di quel complesso sono lunghi m 5,5014 (10 cubiti di Salomone) e il viale d'ingresso è largo m 22 (40 cubiti di Salomone)".

Accingiamoci, ora, a decifrare ed a tradurre in insegnamento l'esoterismo celato in quel grandioso monumento che è Stonehenge.
Moreau scrive che, anticamente, il suo nome era "Cathoir Gall, che deriva dal gaelico, significa "Grande Canto"".
Si tratta proprio del Grande Canto, parafrasi della Grande Opera ermetica.
Abbiamo visto che a nord-est di esso si erge la Heel Stone, l'unico enorme masso grossolano, non levigato, brutto, appena smussato.
Il nostro Maestro insegna che "questa pietra ancora grezza, impura, materiale e grossolana, raffigura l'immagine del diavolo, umanizzato sotto le spoglie di Lucifero che porta la luce, la stella del mattino".
Lucifero è l'immagine dello spirito caduto o precipitato nella materia, perché la sua luce ne venga fuori è necessario la stessa precipitazione della grossolanità.
Evola scrive che "la pietra da cui si trasse il Graal ornò la fronte di Lucifero, e le sue schiere, in una specie di "rivincita degli angeli", cercano di riconquistare, poiché, sotto un certo aspetto, è ancora misteriosamente presente quaggiù come "pietra dell'esilio"".
Lo stesso pianeta Venere della sera diventa, al mattino, Lucifero, poiché annuncia l'avvento del sole filosofico.
Questa pietra caduta, il nostro Insegnante ci dice ancora che "un tempo la si poteva vedere rappresentata sotto l'aspetto di Satana, a Notre-Dame de Paris; ed i fedeli, in testimonianza di disprezzo e di avversione, andavano a spegnere i loro ceri immergendoli nella bocca che questa statua teneva spalancata. Il popolo la chiamava mastro Pietro del cantone, la pietra maestra d'angolo, cioè la nostra pietra angolare e il blocco primitivo sul quale è costruita tutta l'Opera".
Ritroviamo, nei gesti di questi fedeli, la traduzione allegorica delle ripetizioni delle illuminazioni - necessari al primitivo blocco sgrossato - simboleggiati dalla fiamma delle candele che veniva inghiottita o assimilata dalla materia.
San Pietro, aggiunge il Saggio, "è la pietra angolare dell'Opera e anche la pietra fondamentale della chiesa e delle verità cristiane.
Per gli alchimisti la materia prima termina con l'ottenimento della prima pietra, su questa pietra Gesù ha costruito la sua chiesa e i liberi muratori medioevali hanno seguito, simbolicamente, l'esempio Divino".
Nei Vangeli leggiamo al riguardo:
"Tu sei Simone, figlio di Giovanni, ti chiamerai Cefa (che si traduce pietra) e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa".
La similitudine che esiste, poi, tra Lucifero e san Pietro sta nel fatto che per Lucifero la sua illuminazione è simboleggiata dall'aurora, mentre per san Pietro è indicata dal gallo, lo stesso annunciatore del giorno o della luce.
"Così il gallo, attributo di san Pietro - torna a spiegare il Maestro - pietra vera e fluente sulla quale riposa l'edificio cristiano, il gallo, dunque, avrà cantato tre volte. Perché è proprio lui, il primo apostolo, che detiene le due chiavi incrociate della soluzione e della coagulazione; è lui il simbolo della pietra volatile, resa fissa e densa dal fuoco, che la fa precipitare. San Pietro, nessuno l'ignora, fu crocifisso a testa in giù…".

Se san Pietro e Lucifero possiedono degli attributi per indicare la loro natura, la Heel Stone non è da meno, il suo "punto di riferimento" è l'illuminazione solare del solstizio estivo, ma con un particolare ancora più espressivo.
È stato calcolato che la Heel Stone non è mai stato un punto preciso di riferimento al sorgere del sole al solstizio. Si è scoperto che all'epoca della sua erezione, più di 4.000 anni fa, il sole non sorgeva proprio dietro di lei, questo grazie allo spostamento dell'asse terrestre (Precessione degli Equinozi) che permette al sole di sorgere in un altro punto dell'orizzonte.
Hadingham scrive che "attualmente il primo barbaglio di sole appare immediatamente a sinistra (ossia a nord) della Heel Stone, e quanto più si recede nel tempo, mediante i calcoli, tanto più a nord si trova il punto settentrionale dove sorge il sole. Nel 2000 a.C., nel momento in cui il sole si era innalzato sufficientemente nel cielo orientale, tanto da colpire con i suoi raggi l'apice della Heel Stone, la sua distanza dall'orizzonte superava un valore pari al diametro dell'astro".
La Heel Stone, dunque, segnala il grande segreto dell'Opera, la realizzazione del sole del Magistero che brilla sul compost, cioè quando il sole rimontando dopo sorto un po' a nord di lei (illuminazione primitiva) non gli appariva sopra.
L'aspetto della Heel Stone che, come scrive ancora il nostro Insegnante, indica "quel blocco appena smussato destinato a ricevere il taglio definitivo che lo farà diventare la nostra Pietra Cubica", insieme alla sua particolare concezione di riferimento, segnala l'importantissimo punto, cioè, come scrive ancora Fulcanelli, "la nostra seconda operazione che riguarda l'elaborazione del mercurio filosofico".

Abbiamo letto che la finestra più grande del monumento, che costituisce l’ingresso, guarda verso la Heel Stone, o in direzione dell’alba del solstizio d’estate.

Aldo Tavolaro scrive che "ad Atene il Partenone è orientato verso il sorgere del sole nel mese di ecatombeone (un mese estivo), e il raggio dell’astro nascente, che penetrava nel tempio, andava a baciare la statua d’oro e avorio della dea Minerva".

Il nostro Iniziatore scrive che "tutte le chiese hanno l’abside rivolta verso sud est e la loro facciata verso nord ovest, mentre i transetti, che formano il braccio trasversale della croce, sono orientati nella direzione nord est, sud ovest. Quest’orientazione è invariabile, deliberatamente voluta, in modo che i fedeli e i profani, entrando in chiesa da occidente, avanzassero verso il santuario con la faccia rivolta verso il luogo dove sorge il sole, verso oriente. Essi lasciano le tenebre e vanno verso la luce.

In seguito a questa disposizione, uno dei tre rosoni che ornano il transetto e il grande portico non è mai illuminato dal sole; è il rosone settentrionale che s’irradia nella faccia del transetto sinistro. Il secondo fiammeggia al sole di mezzogiorno; è il rosone aperto all’estremità del transetto destro. L’ultimo s’illumina ai raggi colorati del sole che tramonta; è il grande rosone del portale, di gran lunga più grande, per estensione e per bellezza, dei suoi fratelli laterali".

Come vediamo, le chiese sono state orientate verso il sorgere del sole al solstizio d’inverno (sud est). Moreau segnala che "le vecchie chiese di Roma sono state orientate verso questo solstizio invernale".

Tavolaro scrive che "è interessante sapere che la chiesetta rurale di San Giorgio in Bari (XI, XII secolo), ha l’abside rivolta esattamente in direzione del sorgere del sole al solstizio d’inverno.

Questa chiesetta ha il rettangolo di base in rapporto aureo, cioè a dire che la larghezza della minuscola facciata (m 6,30) moltiplicata per il numero d’oro 1,618 dà la lunghezza del lato. Va notato che la larghezza della facciata misurata all’esterno (m 6,30) rappresenta la milionesima parte della lunghezza del raggio terrestre (km 6.300).

Va rilevato, al riguardo, che sovente, quando la chiesa è più grande, la facciata è larga il doppio, ossia m 12,60 (milionesima parte del diametro terrestre) come nel caso di San Giovanni in Patù.

Non dobbiamo dimenticare che nell’antichità i simboli occupavano molto spazio, e vi erano simboli più accessibili (in exterioribus) che parlavano alla massa, e altri (in interioribus) che parlavano a pochi che potevano intendere".

Inoltre Tavolaro ci segnala un’altra chiesetta rurale in provincia di Bari, quella "di Santa Maria a Cesano (XI secolo) nel territorio di Terlizzi. La prima cosa da dire è che la larghezza della chiesa, e quindi la facciata, è di m 6,30. La sua linea è tracciata sul terreno nel senso Sud-Nord, secondo l’asse del mondo. Dalle estremità di tale linea si partono normali verso Est altre due linee (i lati della chiesa) la cui larghezza sarà determinata dalle diagonali che aprono su detti lati un angolo di 25° pari a quello di culminazione del sole al solstizio d’inverno alla latitudine su cui sorge la chiesa.

La culminazione solare del solstizio d’inverno è stata inserita nella pianta della chiesa, nella quale per tre volte è applicata la divina proporzione. La seconda culminazione, quella estiva, la troveremo nel rapporto base altezza".

Il solstizio d’inverno è la luce più corta dell’anno, e indica la primitiva illuminazione miserabile o appena materializzata. "È la nascita della luce — aggiunge Fulcanelli — il mattino, l’inizio, il sorgere del giorno, l’aurora". Essendo improntato a esprimere i lavori primari dell’Opera, di questo solstizio si tiene in maggiore considerazione nell’insegnamento. Il solstizio estivo, indicando la massima esaltazione solare, generalmente si riferisce all’Illuminazione Suprema.

La funzione del complesso megalitico di Stonehenge, oltre a essere un osservatorio astronomico del neolitico, era anche quella di misuratore del tempo.

Marcel Moreau scrive che "Stonehenge ebbe il nome di Car Gaur, che si traduce con "Cerchio del Tempo", indicazione certa di una misura e di un calendario. L’uso del calendario è antichissimo, i misteriosi popoli dell’America centrale disponevano già di un calendario molto perfezionato, risalente a parecchi millenni prima di Cristo".

Mario Zanot afferma che a Stonehenge, "al centro del tempio, sembra di essere in un gigantesco planetario: ogni pietra indica un’ora, un giorno, un mese, una stagione, un anno solare e una fase lunare".

Rodolfo Benavides scrive che "la Grande Piramide era un quadrante solare che segnalava le date precise del solstizio d’inverno, dell’equinozio di primavera, del solstizio d’estate e dell’equinozio d’autunno".

Aldo Tavolaro, da parte sua, scrive che "alla latitudine di Castel del Monte, sul 41° parallelo, la parete sud del maniero ottagonale si comporta come uno gnomone, antenato di tutte le meridiane e di tutti gli orologi solari. A mezzogiorno proietta un’ombra la cui lunghezza è diversa nel corso dell’anno, ma i cui valori sono specifici all’ingresso del sole nei vari segni dello zodiaco, mese dopo mese. Una migrazione dell’astro celeste dalla Bilancia allo Scorpione, dal Sagittario al Capricorno, scandita da ombre immutabili che segnano sul terreno misure e punti architettonici fondamentali: la dimensione del cortile, quella delle sale, quella di una circonferenza ideale entro la quale sono racchiuse le torri e quella di una recinzione ottagonale esterna che oggi non esiste più, ma che resta documentata sino al 1897 quando venne distrutta. Come delimitata dal gioco delle ombre sarebbe stata la vasca ottagonale al centro del cortile, essa pure scomparsa".

Fulcanelli scrive che "l’antichità, che può essere sempre consultata con profitto, ci ha lasciato un certo numero di quadranti solari dalle forme più svariate, ritrovate nelle rovine di Castelnuovo, di Pompei, di Tusculum, ecc. Altri ancora ci sono noti grazie alla descrizione di scrittori scientifici, in particolare Vitruvio e Plinio. Così veniamo a sapere che il quadrante chiamato Hemicyclium, attribuito a Berosio (verso il 280 a.C) era composto da una superficie semicircolare "sulla quale uno stile segnava le ore, i giorni e perfino i mesi"".

Inoltre, il nostro Maestro ci spiega pure il significato del quadrante solare del palazzo Holyrood di Edimburgo.

"Esso è contemporaneamente un quadrante solare multiplo e un vero orologio ermetico. Così questo strano icosaedro rappresenta per noi un’opera dalla duplice gnomonica. La parola greca gnómon, che è stata trasmessa integralmente alle lingue latina e francese (gnomon), possiede un altro significato, a parte quello dell’ago che ha il compito d’indicare il cammino del sole mediante l’ombra proiettata su di un piano. Gnómon indica anche colui che acquista la conoscenza, che s’istruisce; definisce il prudente, il sensato, l’illuminato. Quella parola ha per radice gignósko, scritto anche ginósko, duplice forma ortografica il cui significato è quello di conoscere, sapere, capire, pensare, risolvere. Da qui proviene Gnôsis, conoscenza, erudizione, dottrina, da cui la nostra parola francese Gnose, dottrina degli Gnostici, e filosofia dei Maghi. Si sa che la Gnosi era l’insieme delle conoscenze sacre delle quale i Maghi conservavano accuratamente il segreto e che costituiva, soltanto per gli Iniziati, l’oggetto dell’insegnamento esoterico. Ma la radice greca da cui derivano gnomon e Gnosis, ha prodotto anche gnome, corrispondente alla nostra parola gnomo, col significato di spirito d’intelligenza.

L’icosaedro gnomico di Edimburgo è, quindi, a parte la sua effettiva destinazione, proprio una traduzione nascosta dell’Opera gnostica, o Grande Opera dei Filosofi. Per noi, questo piccolo monumento non serve unicamente e semplicemente a indicare l’ora del giorno, ma indica anche il cammino del sole dei saggi nel lavoro filosofale. E questo cammino è regolato dall’icosaedro, che rappresenta quel cristallo sconosciuto, il sale della sapienza, lo spirito o fuoco incarnato, lo gnomo, familiare e servizievole, amico dei buoni artisti, che assicura all’uomo l’accesso alla suprema conoscenza della Gnosi antica".

Gli gnomi, che aiutarono anche Biancaneve, sono sempre rappresentati, nella tradizione, vecchi, brutti e deformi, geroglifici dell’antico spirito ancora piuttosto grossolano.

Il nostro Iniziatore scrive ancora che "gli gnomi, creature fittizie, deformi ma attivi, geni sotterranei preposti alla guardia dei tesori minerali, vegliano senza sosta sulle miniere d’oro e d’argento, sui giacimenti di pietre preziose. La tradizione li rappresenta come assai brutti e di piccolissima statura; in cambio la loro natura è dolce, il loro carattere benevole, le relazioni con loro estremamente favorevoli. Sotto questo aspetto si comprende facilmente la ragione occulta dei racconti e delle leggende, nelle quali l’amicizia di uno gnomo spalanca le porte delle ricchezze terrestri".

Il tempio di Stonehenge è particolarmente indicato con l’epiteto di crom’lech, a causa della sua forma tondeggiante; la D’Eaubonne scrive che crom’lech (da crom, curvo; lech, sassi) in gallese significa "cerchio di pietre megalitiche"".

Infatti, l’intero monumento rappresenta dei cerchi concentrici, più o meno interrotti, inscritti nel suo rettangolo ideale. Ora quest’antichissima tradizione si ritrova nella forma d’iniziazione tibetana detta kalachakra, che significa proprio "ruota del tempo". Il compito principale dei neofiti consiste nella meditazione sul mandala.

Mircea Eliade spiega che "mandala significa cerchio. Un mandala rappresenta tutta una serie di cerchi concentrici, o meno, inscritto in un quadrato. Questo diagramma viene disegnato per terra con fili di diverso colore. Per il neofito l’iniziazione consiste nel penetrare nelle diverse zone e accedere ai diversi livelli del mandala. L’inserimento del neofito in un mandala, può essere comparata all’iniziazione mediante la penetrazione in un labirinto; alcuni mandala, del resto, hanno un carattere nettamente labirintico".

Marcellin Berthelot, citato dal nostro Adepto, scrive che "la figura del labirinto fa parte delle tradizioni magiche attribuite a Salomone. È una serie di cerchi concentrici, interrotto in certi punti, in modo da formare un percorso bizzarro e inestricabile".

La Capone segnala che "il simbolismo del labirinto si trova inciso su massi megalitici in molte località marine distanti tra loro. Ne abbiamo sulle rocce delle coste atlantiche della Galizia, della Francia, della Cornovaglia; in India, nel Baltico, in Nord America. Questi labirinti sono identici a quello inciso su una medaglia trovata a Creta negli scavi di Cnosso".

Tavolaro cita Hermann Kern che al riguardo scrive:

"Tutti i labirinti raffigurati su manoscritti hanno un orientamento preciso, con l’ingresso a occidente, pure i labirinti rappresentati sui pavimenti delle chiese hanno quasi senza eccezione il loro ingresso a occidente".

Danilo Braccini nota che "il labirinto è una figura che compare di frequente nei manoscritti alchemici come simbolo sia del piccolo Magistero, o magistero lunare (se percorso dall’ingresso al centro), sia del grande Magistero, o Magistero solare (se percorso dal centro all’uscita)".

Il nostro Maestro insegna che "l’immagine del labirinto ci si offre come emblema dell’intero lavoro dell’Opera, con le sue due maggiori difficoltà: quella della strada da seguire per raggiungere il centro — nel quale si scatena il duro duello delle due nature — e l’altra, quella della strada che l’artista deve seguire per uscirne.

I labirinti mostrano almeno tre entrate, che corrispondono, del resto, ai tre portali delle cattedrali gotiche poste sotto l’invocazione della Vergine Madre. Una di queste entrate, assolutamente diritta, conduce direttamente alla camera di mezzo — nella quale Teseo uccise il Minotauro — senza incontrare nessun ostacolo; essa è l’interpretazione della via breve, semplice, dell’Opera del povero. La seconda, che termina anch’essa al centro, vi giunge soltanto dopo una serie di deviazioni, di ritorni, di circonvoluzioni; è il geroglifico della via lunga, dell’Opera del ricco. Infine, una terza galleria, la cui apertura è parallela alle precedenti, e finisce improvvisamente in un vicolo cieco, a poca distanza dall’ingresso, non porta a nulla. È solo causa di disperazione e di rovina per i vaganti, i presuntuosi; per coloro che si mettono lo stesso in viaggio e rischiano l’avventura senza uno studio serio, senza solidi principii".

Di questi personaggi ci dà una bell’immagine Friedrich Nietzsche:

"Cupo in volto era uscito quel cacciatore dalla foresta della conoscenza. Brutte verità pendevano dal suo corpo, erano il suo bottino di caccia. Ed egli si pavoneggiava in abiti cenciosi. Molte spine gli erano rimaste attaccate ai panni; ma io non vidi alcuna rosa".

Un’identica interpretazione di questo particolare punto della scienza, si trova in una figura "del libro del Trismosin. — Segnala Fulcanelli — Si vede una quercia, dalla cui base nasce un ruscello che scorre nella campagna. Tra le fronde dell’albero si vede un corvo, mentre un uomo, vestito poveramente, salito su di una scala, sta per prenderlo. In primo piano, due sofisti, vestiti con ricercatezza di stoffe sontuose, discutono e argomentano su questo punto della scienza, senza notare la quercia posta dietro di loro, né vedere la fontana che scorre ai loro piedi…".

Questi personaggi, pur seguendo la strada della ricerca, si crogiolano nel proprio illusorio sapere, appagando soltanto i propri appetiti e "pavoneggiandosi" spesso in alcune interpretazioni del tutto personali.

La povertà dell’altro personaggio, invece, rappresenta la semplicità che bisogna adottare per accedere alla scienza, e la scala della pazienza che bisogna necessariamente salire per prendere il corvo, geroglifico della morte mistica.

"Quanti ricercatori, ma più entusiasti che penetranti, urtano e inciampano ancora oggi contro l’ostacolo di ragionamenti speciosi. — Continua il Maestro — Non dobbiamo dimenticare che si tratta di una scienza esoterica. Di conseguenza, un’intelligenza viva, una memoria eccellente, il lavoro e l’attenzione aiutati da una forte volontà, non sono qualità sufficienti per sperare di diventare dotti in questa materia".

Krishnamurti afferma che "la logica rende la mente acuta, chiara, obiettiva, lucida. Ma questo non le darà il resto. È la percezione che opera logicamente. Non ha bisogno di logica. Qualunque cosa si faccia è ragionevole, logica, sana, obiettiva".

Quest’inciampo ha causato il proliferare, in tutti i tempi, dei pseudo-filosofi o cosiddetti falsi profeti. Tuttavia il XX secolo, con l’istruzione di massa, ha visto un aumento vertiginoso di costoro che ha spinto Eugène Canseliet a scrivere "quello che abbiamo spesso detto a voce, e che teniamo molto a che sia stampato.

I commentatori moderni si moltiplicano certo. Che beneficio sostanziale è lecito attendersene? Essi si dimostrano incapaci di chiarire il passo sapiente o la scena iconografica che utilizzano senza convincere e per lo più senza motivo.

In Alchimia nessun autore fa opera più dannosa di colui che disserta di operazioni di cui non ha mai effettuato nemmeno la più elementare. Per costui i testi sono per lo più simbolici e di pratica cinicamente intellettuale.

È proprio l’occasione giusta questa perché ci si presenti alla mente la pertinente citazione che prese da Plinio il Vecchio il pittore olandese Jacques Appel, tanto invaghito di Humour e di latino, quanto ricco di talento per i suoi paesaggi:

NE SUTOR ULTRA CREPIDAM

— CALZOLAIO MAI OLTRE LA SCARPA—

Non ci fermeremo a esaminare le mostruose divagazioni di scrittori che riescono a trovare editori e quindi a diffondere novità inconcepibili sul conto dell’Alchimia secolare e dei suoi più degni rappresentanti. D’altra parte non è affatto detto che questi pennaioli piuttosto spregevoli non siano, all’occorrenza, i maneggioni di una vera e propria impresa di demolizione.

La malevolenza e la volontà di nuocere si esercitano troppo chiaramente perché non si abbiano dubbi sulle loro vere intenzioni.

Che lo studioso dell’arcano si guardi con cura dalla lettura e dalla compagnia degli pseudo-filosofi; in effetti non vi è nulla di più pericoloso per colui che apprende una scienza, del commercio con uno spirito ignorante o ingannatore, a causa del quale sono inculcati come veri dei falsi principi, per i quali un’anima senza macchia e in buona fede s’impregna di cattiva dottrina.

Scriviamo perché vi siamo spinti dalla doppia necessità dell’inesorabile mondo temporale, che bisogna soddisfare, e dell’apostolato, per quanto modesto sia, che è importante esercitare".

Segnaliamo pure le stupidaggini che tuttora si studiano nei licei a causa dei pseudo-filosofi. Questi, scrive Matteo (XV, 14), "sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, entrambi cadranno in un fosso!"

Anche le velenose ideologie politiche sono state elaborate da loro. Matteo (VII, 15-16) segnala ancora:

"Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecora, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete".

I cosiddetti maestri spirituali, poi, possono comunque confondere, tanto che i Vangeli avvertono che potrebbero "indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti".

Krishnamurti dice che "se esaminiamo l’idea che sta dietro la figura del guru, che sta quasi diventando una seccatura sia qui che in America, in tutto il mondo — mi spiace ma sono alquanto allergico ai guru — ne conosco molti, vengono a trovarmi. Dicono: "Quel che dite è l’eccelsa verità", sanno adulare! "Ma", dicono, "noi abbiamo a che fare con gente ignorante e funzioniamo da intermediari: vogliamo aiutarla".

Mi chiedo perché questi si debbano paragonare a chi sta parlando. Mi chiedo perché mai debbano pensare che quello che sta dicendo chi parla, è ciò che anch’essi vanno dicendo. Perché debbano dire queste cose.

Innanzitutto perché paragonano quel che dicono con K? Qual è il motivo nascosto? È per stare dalla parte vincente? È perché pensano di non essere del tutto in regola ma che, paragonandosi a K, potrebbero diventare del tutto in regola? Per questo s’investono di autorità e negano la libertà. Non so se vi siete mai accorti che neppure un solo guru ha alzato la voce contro la tirannia.

Andiamo alla ricerca di qualcuno che c’insegni a essere sensibili: seminari, ashram e altri buchi infami dove imparo a essere sensibile. — Successo significa Cadillac e Rolls Royce, seguaci europei e americani, e tutto il trambusto che ne consegue —

Una volta venne a trovarmi un monaco, rinomato e con moltissimi seguaci. Ancora oggi è molto conosciuto. Mi disse: "Insegno ai miei discepoli", ma lo disse pieno d’orgoglio per avere migliaia di discepoli, orgoglio che sembrava decisamente assurdo per un guru.

Mi disse: "Ce l’ho fatta perché ho imparato a controllare i sensi, il corpo, i pensieri, i desideri. Li trattengo, come si legge nella Gita, tirando le redini al cavallo". Lo lasciai continuare, poi gli chiesi: "E cosa ha ottenuto? Ha controllato, e poi?". Ribatté: "Cosa vuol dire? Io sono arrivato". "Arrivato dove?" "Ho raggiunto l’Illuminazione. L’ho presa, la tengo in mano, so cos’è". Risposi soltanto: "Benissimo". Ma si agitava sempre di più perché voleva convincermi di essere un grand’uomo e tutto il resto. Io sedevo in silenzio ascoltandolo tranquillamente e questo lo smorzò. Eravamo seduti sulla riva del mare. Gli chiesi: "Vede il mare?". "Naturalmente", rispose. "Può tenere in mano dell’acqua? L’acqua che tiene in mano non è più il mare". Non capì. Una fresca brezza gentile soffiava dal Nord. Gli dissi: "Può tenere questa brezza?". "No". "Può possedere la Terra". "No". "Allora che cosa possiede? Parole?". Si adirò talmente che esclamò: "Non voglio più ascoltarla, lei è un uomo malvagio". E se ne andò".

Silas89
00domenica 19 settembre 2004 21:54
molto interessante
Black Phoenix
00domenica 19 settembre 2004 22:31
si
ma anke molto lungo!
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