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l'avventura dell'archeologia salvata





ROMA - Un museo è stato trasferito al Colosseo, al secondo ordine (piano) dei fornici. Un museo di archeologia, con 60 pezzi fra cui capolavori eccezionali in bronzo, marmo e terracotta. Un museo provvisorio perché è servito per allestire una mostra, ma un museo provvisorio che è un miracolo perché formato da una selezione delle opere che potevano essere perdute per sempre per l'Italia, per dispersioni e ruberie ottocentesche, moderno traffico clandestino, guerre e calamità naturali. Bloccate in corso di esportazione illegale, opere rubate e recuperate con indagini giudiziarie. E, ancora prima, opere salvate grazie a pionieristici regolamenti e acquisizioni di Stati pre unità d'Italia, borbonici, del granducato di Toscana, del regno d'Italia. Non del tutto scontati se uno Stato che si dichiarava il solo democratico, la Francia di Napoleone, fece entrare le opere d'arte nei trattati di pace, come risarcimento danni, come bottino. E, negli ultimi anni, opere rientrate da musei e collezionisti (per ora americani) che ne hanno riconosciuto l'origine e l'indebito acquisto.

Ci sono opere notissime. L'"Apollo Citarista" (165 centimetri di bronzo), dalla casa del Citarista di Pompei, che nella Seconda guerra mondiale ha passato i guai dei trasferimenti a Berlino e in una miniera di sale. La "misteriosa figura muliebre", "fra le statue più insigni che esistano", della Hestia "Giustianiani" in marmo pario (1,99 di altezza) del I-II secolo dopo Cristo, del più grande museo di antichità in mano ad un singolo privato: la collezione Torlonia (notificata nel 1948). La dea Roma in veste di Amazzone (2,30) che è un originale augusteo-tiberiano di Ostia Antica. Minerva con elmo e armata con tritone, di terracotta con tracce di colore (sfiora i due metri), da "Lavinium", la città leggendaria fondata da Enea dopo lo sbarco sulle coste del Lazio.

La mostra documenta la storia centenaria del primo regolamento organico di tutela dei Beni culturali in Italia, la legge del 20 giugno 1909 n.364 dove si afferma il "prevalente interesse pubblico delle opere d'arte e di antichità", l'"inalienabilità per le cose appartenenti allo Stato e agli enti pubblici", il "divieto di esportazione" quando provoca un danno al patrimonio storico e artistico nazionale. Principi che corroborati dalla tutela del paesaggio "valore primario ed assoluto" sono nell'articolo 9 della Costituzione e nel "Codice dei Beni culturali e del paesaggio" del 2004.

Il titolo della mostra è importante e pesante,"Rovine e rinascite dell'arte in Italia" (fino al 15 febbraio 2009), ma sotto questa scorza si celano storie fra le più interessanti. Vittorie e sconfitte, astuzie dissacranti dei tombaroli per fare più soldi: frantumare l'inestimabile coppa decorata da Onesimos, il più dotato allievo di Eufronios, e farla ritrovare a rate (a Villa Giulia dopo essere stata negli Stati Uniti). Astuzie quasi perfette a cui risponde l'acutezza scientifica dei "nostri".
In mostra il caso più intrigante è quello della cosiddetta "Artemide Marciante" del Museo nazionale romano di Palazzo Massimo, una statua alta 113 centimetri, in marmo con tracce di colori sulle vesti. Copia di fine I-inizio II secolo avanti Cristo di una rielaborazione di gusto arcaizzante forse della scuola di Pasiteles. Scavata clandestinamente vicino a Caserta nel 1994 arrivò in Svizzera da dove i trafficanti tentarono di venderla in Giappone e negli Stati Uniti e per confondere le tracce inanellarono un "incredibile numero di passaggi di dogana". Ma i carabinieri si facevano sentire sempre più vicini e allora una "Artemide Marciante" fu fatta ritrovare ad Avellino. Una copia giudicata "quasi perfetta" ad onore dell'autore, un artigiano romano di monumentini funebri. Ma l'inganno non resse davanti agli specialisti e allora la vera "Artemide Marciante" fu fatta rientrare in Italia. In mostra le statue sono tre, la vera, la copia moderna e il calco in gesso per trarre la copia.

Ad accogliere i visitatori, alle "Origini della tutela", è il capolavoro in bronzo del cosiddetto "Arringatore", alto 180 centimetri, forse un oratore in piedi, avvolto in una toga, il braccio destro alzato. Il volto, dai particolari realistici, le rughe sulla fronte e le pieghe profonde ai lati della bocca, ha le orbite prive degli occhi che di solito erano in avorio, osso o pasta vitrea, conferendogli un senso di maggiore autorità alle parole. Sembra che dica, a chi visita la mostra: "Attenti. Non pensate che bastino le leggi a proteggere i beni culturali".
La statua, del II-I secolo avanti Cristo, è di fattura etrusca come testimonia l'iscrizione sul bordo della toga che la identifica per il nobile Aule Meteli ed è stata scavata a Tuoro, sul Trasimeno. Appartiene al Museo archeologico nazionale di Firenze. Entrata nel 1566 nelle collezioni di Cosimo dè Medici, nel 1870 confluì nel Regio museo egizio ed etrusco di Firenze. Una importante, acquisizione da parte dello Stato insieme alla "Minerva" e alla "Chimera" di Arezzo.

I tentativi dei Borbone di tutelare le opere d'arte fin dal 1755-1769 di fronte all'esplosione degli scavi di Ercolano non arrestarono le esportazioni illegali. Così incontriamo una statua di "Ninfa", un marmo della fine del I-inizio II dopo Cristo (testa antica, ma non sua), che ha anche un altro nome: "Ballerina di Goethe". La statua venne infatti offerta allo scrittore che rinunciò all'acquisto molto a malincuore, anche per il prudente consiglio della famosa pittrice Angelica Kaufmann che lo mise in guardia sui problemi dell'esportazione. Il rammarico di Goethe crebbe quando vide la "Ninfa" in Vaticano, nel Museo Pio Clementino, ma dimenticava che a volerla era stato il papa. Viceversa i decreti emanati a Napoli nel 1822 evitarono la migrazione al British Museum dei frammenti di metope con sculture del VI secolo avanti Cristo che decoravano una facciata di due templi di Selinunte e che due architetti inglesi volevano acquistare. Ma i due avevano compiuto scavi illegali secondo i decreti e così furono bloccati dalla polizia, i frammenti confiscati.

Non sappiamo quanti siano nei musei italiani le opere da Villa Adriana, ma nel mondo "si calcola che siano almeno 472". Nel 1906 Rodolfo Lanciani denunciava la "spoliazione metodica" della villa dalla fine del Quattrocento. Il grande cratere in marmo con uccelli e pesci (alto poco meno di un metro e con un diametro di 66 centimetri), dall'area del "Teatro greco" ne è un esempio. Fu venduto al Vaticano nel 1769 dallo scozzese Gavin Hamilton che aveva preso parte allo scavo, esemplare personaggio del tempo, archeologo (fortunatissimo scavatore di Gabii e di Ostia), mercante, pittore. Ma accanto è un altro grande cratere del Museo nazionale romano, decorato con gru e serpenti, frutto degli scavi condotti sui vasti terreni di Tivoli su cui insisteva Villa Adriana che il regno d'Italia si aggiudicò all'asta nel dicembre 1870
Nel Novecento cominciano a manifestarsi sensibilità nuove di collezionisti, e, con grande fatica, di istituzioni.

Nel 1901 lo studioso Paul Hartwig acquistò sul mercato e donò al Museo nazionale romano, una testa di soldato con otto frammenti da un rilievo della fine del I secolo dopo Cristo, poi identificato come il mausoleo della gente Flavia voluto da Domiziano. Il torso con cinque frammenti corrispondenti alla testa furono acquistati da un collezionista americano e collocati nel museo di archeologia di Ann Arbor. Nel '94 i due musei si scambiarono i calchi dei rispettivi pezzi che dimostrarono la provenienza dallo stesso monumento di Roma. Il risultato massimo è che in mostra c'è il calco delle parti romane-americane mentre l'originale è rimasto nel Michigan. Non è sempre così. La statua di Aristogitone dei Musei Capitolini, alta 180 centimetri, la "migliore replica esistente di uno dei tirannicidi del gruppo di Kritios e Nesiotes", del I secolo avanti Cristo, ha riconquistato la testa che era ai Vaticani. E la stele di un giovane, la cosiddetta "Stele del Palestrita" alta più di due metri, del 430 avanti Cristo, dei Vaticani, è stata completata con la parte inferiore del Comune. L'incrocio dei pezzi è avvenuto nel 1957 inaugurando una controtendenza...

Un altro importante scambio, anche se limitato ad una possibilità di studio e ad una presenza provvisoria in mostra, è stato ottenuto con la grande statua di Niobe del II secolo dopo Cristo che Rita Paris ha scavato nel 2005 nel Ninfeo della Villa dei Quintili lungo l'Appia Antica (altro acquisto dello Stato). La statua, che sfiora i due metri di altezza, rappresenta la tragica e orgogliosa Niobe che difende una figlioletta in grembo dalle frecce di Diana (dopo aver perso i sette figli sotto le frecce di Apollo). Le manca la testa che con "scavi di archivio" è stata individuata a Varsavia , nel castello di Nieborów sede del Museo nazionale, ed è la "più bella tra le replica note".

La testa fu scavato a Roma verso il 1760, integrata con un busto moderno per trasformarla in un'opera più commerciale e venduta prima ad un banchiere inglese e poi a Caterina II di Russia che ne fece dono alla principessa Elena Radziwi%u0167%u0167 per una "Arcadia" nel parco di Nieborów. Non ancora conclusa, la vicenda di un'altra monumentale statua di Dioniso (altezza 2,06) del Museo romano, in marmo della prima metà del II secolo dopo Cristo. Scultura del tipo "Sardanapalo" dalla straordinaria barba "a boccoli", l'amplissimo torace coperto da un mantello e la toga dalle mille pieghe. Scoperta nel 1928 fu sequestrata a chi la trovò. Nel gennaio 1944, per una promessa di Mussolini, fu consegnata ai tedeschi che volevano usarla nel rituale Dionysos-Nietzsche. Bisognerà attendere il 1991 per il ritorno in Italia. La parte anteriore della testa e la barba sono un calco dell'esemplare in Vaticano. Ancora in corso le trattative per il recupero della testa, rubata nel 1928, esportata a Londra illegalmente e dal 1966 all'Ashmolean Museum di Oxford. Altro capolavoro, la statua di Menade con cerbiatto: produzione classicista della metà del I secolo avanti Cristo scoperta nel 1777, integrata con tre parti neoclassiche (la testa è antica, ma non sua). Nel 1997 fu la prima scultura acquisita dallo Stato come pagamento dell'imposta di successione.

A volte, nonostante l'imposizione del "vincolo" che impone regole sui movimenti e la visibilità delle opere d'arte, i privati cercano esportazioni non autorizzate. Il raro pannello in "opus sectile", la forma più preziosa di intarsi di marmi policromi, con una scena di corse con bighe al circo, del quarto secolo dopo Cristo, staccato dalla Basilica di Giunio Basso sull'Esquilino, fu una delle prime opere "vincolate" nel 1911. Lo custodivano fin dal Seicento i principi del Drago nel palazzo romano alle Quattro Fontane che nel 1936 lo fecero arrivare in Svizzera, nella "zona franca" di Chiasso. Qui fu intercettato dalla Guardia di Finanza e fatto rientrare (22 anni dopo) da Rodolfo Siviero l'indomabile che fece tornare in Italia decine di capolavori e opere d'arte di tutti i tipi, razziati e dispersi in Europa nella Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra.

Una raffinata divinità seduta in trono, forse Demetra-Cerere, alta 87 centimetri e profonda 43, di terracotta "nocciola rosato" di produzione etrusca del III-I secolo avanti Cristo, può concludere la mostra. La perdita di metà del volto per il lungo non affievolisce bellezza e mistero. Proviene dalla provincia de L'Aquila, Luco dei Marsi sul lago del Fucino, oggetto del titanico prosciugamento dei Torlonia, dall'Ottocento riserva dei tombaroli ed oggi anche delle ricerche legali. La divinità "fu estratta dalla terra al lume delle torce la notte del 18 luglio 2003 e prelevata dai carabinieri".

La mostra è organizzata dalla soprintendenza per i beni archeologici di Roma diretta da Angelo Bottini, dal Comitato nazionale per il centenario del primo regolamento di tutela. L'ideazione è di Adriano La Regina, lo "storico", battagliero, soprintendente archeologico di Roma, professore di etruscologia a La Sapienza (catalogo Electa). La Regina ha idee chiare sui progressi della tutela dei Beni culturali: "Abbiamo avuto una normativa abbastanza rigorosa, precisa, ben raccordata, che negli ultimissimi anni, con il 'Codice Urbani', è stata attenuata da condizioni e limiti introdotti all'istituto del vincolo. Su pressione degli interessi mercantilistici. C'è anche un recupero culturale fra istituzioni, musei, collezionisti che ha permessogli scambi fra Capitolini e Vaticani, le ricerche a Varsavia, le restituzioni dai musei e collezionisti americani".

La palma tra le opere esposte, viene attribuita dal soprintendente ad "una statua che c'è, il Dioniso 'Sardanapalo', e a due che non ci sono". Una è la "Venere di Cirene", la statua scavata nel 1913 durante l'occupazione italiana di Cirenaica, esposta a Roma alle terme di Diocleziano e restituita alla Libia nell'agosto scorso. Un'opera da un prototipo greco tardo ellenistico probabilmente lavorata ad Alessandria d'Egitto. L'abbiamo restituita con una macchia sul candido marmo greco all'altezza del femore sinistro, provocata dalla ruggine del fascione che chiudeva la cassa in cui la Venere fu conservata. La seconda opera è la testa della "Dea di Butrinto", IV secolo avanti Cristo, restituita all'Albania negli anni Ottanta, anche questa frutto dell'occupazione italiana. Sulle spinose restituzioni fra Paesi, secondo La Regina si deve "ragionevolmente decidere sulle vicende che hanno ancora una 'storia aperta' e dichiarare chiuse quelle con una 'storia conclusa' come quelle legate a Napoleone. Se dovessimo restituire anche quelle, certi musei si svuoterebbero e non si deciderebbe nulla". La Regina non ha voluto precisare le storie che ritiene ancora "aperte".

Notizie utili - "Rovine e rinascite dell'arte in Italia". Dal 3 ottobre al 15 febbraio 2009. Roma. Colosseo, secondo ordine. Promossa dal Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario del primo regolamento di tutela presieduto da Cosimo Ceccuti, dalla soprintendenza speciali per i beni archeologici di Roma diretta da Angelo Bottini, in collaborazione con Electa. Idea e direzione scientifica Adriano La Regina con Elena Cagiano de Azevedo, Rosanna Geremia Nucci. Catalogo Electa.
Biglietto: intero 11 euro, ridotto 6,50. Valido anche per l'ingresso al monumento Colosseo, Palatino e Foro Romano.
Orari: fino al 27 ottobre 8,30-18,30; dal 28 ottobre al 15 febbraio 8,30-16,30. La biglietteria chiude un'ora prima. Chiuso 25 dicembre, 1° gennaio. Informazioni e visite guidate Pierreci 06-39967700.